Giorgio Beretta – Fonte: © Il Manifesto
17 agosto 2019
Il dossier del Viminale. Nel 2018 il 64,6% di omicidi familiari commessi da chi aveva un regolare porto d’armi
Un Paese sempre più sicuro, ma non negli spazi della vita quotidiana. Che, anzi, manifestano una crescente pericolosità, soprattutto per le donne. E’ quanto emerge dal Dossier Viminale presentato a Castel Volturno (Caserta) in occasione della tradizionale riunione di Ferragosto del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal ministro dell’Interno, Salvini.
Nell’ultimo anno sono calate le rapine (-16,2%), i furti (-11,2%) e le truffe (-2,1%, tranne quelle con vittime ultrasessantacinquenni (+1,2%). Ma soprattutto sono calati gli omicidi (-14%): i 307 omicidi volontari commessi tra agosto 2018 e luglio 2019 costituiscono il numero più basso mai registrato dagli anni Cinquanta. Sono diminuiti, ma di poco (-4%), anche gli omicidi nella sfera familiare e affettiva: ma proprio questo sta diventando l’ambito di maggior pericolosità per la vita delle persone. I dati del Viminale mostrano, infatti, che oggi quasi la metà degli omicidi in Italia sono commessi nel contesto familiare-affettivo: 145 su un totale di 307.
Mentre calano gli omicidi compiuti dalla criminalità comune e della criminalità organizzata (25 nell’ultimo anno) rimangono, invece, pressoché invariati proprio quelli in ambito familiare: e di questi, la maggior parte (il 63,4%, cioè 92) ha visto come vittime le donne. Che la famiglia sia sempre più pericolosa per le donne è confermato da un altro dato del dossier: gli ammonimenti dei Questori per violenza domestica sono più che raddoppiati nell’ultimo anno, passando da 666 a 1.172 (+76%), ma il numero degli allontanamenti è stato pressoché identico. Sono diminuite, invece, le denunce per stalking presentate, in tre casi su quattro da donne: sono state 12.733, il 13% in meno rispetto all’anno precedente.
Questi dati mostrano, innanzitutto, che il fenomeno dell’immigrazione non ha comportato un aumento generale degli omicidi in Italia, che sono in costante calo dagli anni Novanta. Inoltre evidenziano che, mentre gli omicidi della criminalità, mafiosa e comune, si possono ridurre con adeguate misure di prevenzione e controllo è molto più difficile ridurre la piaga degli omicidi familiari e in ambito affettivo: questi dipendono soprattutto da una cultura patriarcale che vede la donna e i figli come una proprietà. E’ necessario pertanto contrastare questa cultura. Ma non basta.
C’è infatti un dato che emerge dal rapporto Omicidi in Italia pubblicato dall’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali Eures. Negli omicidi familiari gli strumenti più utilizzati non sono quelli più a portata di mano (coltelli, armi improprie, lacci), ma le armi da fuoco. Ammontano, infatti, a 1.139 le vittime degli omicidi in famiglia uccise con un’arma da fuoco tra il 2000 e il 2018 (il 32,2% del totale), mentre sono 1.118 gli omicidi familiari commessi con armi da taglio (il 31,6%) e in minor numero con armi improprie o percosse.
Ma c’è di più. Eures segnala che nel 2018 in almeno 42 casi (il 64,6%) negli omicidi familiari l’assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi, di cui in 10 casi per motivi di lavoro. Il dato è compatibile con le informazioni presenti nel database dell’Osservatorio Opal che nel 2018 riporta 52 casi di omicidi, anche extra-familiari, compiuti con armi legalmente detenute.
Ciò significa che oggi le armi da fuoco legalmente detenute nelle case degli italiani ammazzano di più della mafia. E’ il dato di un solo anno, ma non va sottovalutato. «Avere un’arma in casa
rappresenta una formidabile tentazione di usarla e molti assassini sono in possesso di regolare licenza», evidenziava il rapporto Censis sulla sicurezza. Un avvertimento di cui il Viminale farebbe bene a tener conto restringendo le maglie sulle licenze per armi ed introducendo maggiori controlli.
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