Nel 2018 e 2019 si contano 19 e 28 omicidi di mafia, mentre 54 e 34 sono quelli avvenuti con armi detenute regolarmente. Associazioni e una parte della politica cercano soluzioni: da controlli più frequenti a regole più stringenti e incrocio delle banche dati fino al monitoraggio costante delle condizioni psico-fisiche di chi detiene il porto d’armi
Una tragedia annunciata per deficit di legislazione sul possesso delle armi. A cui si aggiunge l’impossibilità di incrociare le informazioni sullo stato di salute mentale dei detentori di pistole e fucili. Così di armi, in Italia, si muore. Ad Ardea hanno perso la vita due bambini, David e Daniel, di 8 e 3 anni, e Salvatore Ranieri, 72 anni, intervenuto per provare a fermare il piano omicida di Andrea Pignani, il 34enne ingegnere informatico autore del triplice omicidio. L’uomo, dopo essersi barricato in casa, si è suicidato.
“È doloroso il ripetersi di storie con il solito tragico copione: un’arma legalmente detenuta da chi, per uno stato di alterazione psichica, è una minaccia per se stesso e per la collettività. Un binomio che troppo spesso esplode in tragedia e che deve essere assolutamente spezzato”, dice a ilfattoquotidiano.it Gabriella Neri, fondatrice della Onlus Ognivolta che si batte contro la diffusione delle armi. L’impegno è iniziato dopo che nel 2010 suo marito Luca Ceragioli e il collaboratore Jan Hilmer furono assassinati da Paolo Iacconi, ex dipendente della società guidata da Ceragioli. L’uomo possedeva regolarmente un’arma, nonostante avesse problemi psichici. Un déjà vu.
Foto da Il Fatto Quotidiano