Per il terzo anno consecutivo calano le esportazioni di armi da guerra italiane. Ma non è detto che sia una buona notizia, perché le consegne ai Paesi in guerra continuano, specie nelle aree dalle quali si registra la partenza del maggior numero di migranti e profughi. Al contrario la Casa Bianca ha ordinato di ridurre di quasi un quarto i contratti con l’Italia.
Il giro d’affari mostra nel 2017 una diminuzione rispetto all’anno precedente (-9,3%). Si passa da 1,3 miliardi di euro del 2014 a 1,1 miliardi del 2017, in contrazione anche rispetto agli 1,2 miliardi di euro del 2016. I dati, tuttora provvisori per l’anno 2017, sono stati resi pubblici da Istat ed Eurostat e presentati ieri in anteprima nazionale da Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le Politiche di sicurezza e di Difesa.
I diagrammi rivelano il permanere di consistenti forniture militari a Paesi in guerra (come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, attivi nel conflitto in Yemen), mentre proseguono le spedizioni di armi semiautomatiche alle forze dell’ordine e a corpi di sicurezza di regimi autoritari noti per le reiterate violazioni dei diritti umani, tra cui Egitto, Turchia, Oman e Thailandia. «Da diversi anni – osserva Piergiulio Biatta, presidente dell’Opal di Brescia – portiamo all’attenzione nazionale queste informazioni: va però notata la scarsa attenzione di gran parte delle forze politiche alle problematiche connesse alle esportazioni di armi e alle violazioni dei diritti umani». Il decremento complessivo è at- tribuibile soprattutto alla riduzione di consegne verso il Medio Oriente (-32,5%), «zona verso cui nel 2017 sono state comunque esportate forniture, soprattutto di tipo militare, per quasi 109 milioni di euro», spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio.
Nel 2016 l’export per quest’area aveva registrato invece un cospicuo incremento, superando i 161 milioni di euro. A preoccupare restano più di tutte le zone di crisi. Soprattutto quelle che producono un alto numero di migranti e profughi. Anche in questo caso lo studio smaschera l’ipocrisia delle politiche contro i migranti: da una parte si restringono le possibilità di fuga verso l’Europa, dall’altro si alimentano le cause degli esodi forzati. Secondo Opal «persistono, e in alcuni casi aumentano, le esportazioni di armi e munizioni verso zone di tensione del mondo come l’Africa settentrionale (oltre 30 milioni di euro nel 2017, più che raddoppiate rispetto ai 12 milioni del 2016) e l’Africa subsahariana (11,3 milioni di euro nel 2017, in aumento a fronte degli 8,6 milioni del 2016)». Il mercato globale, di quelli che con indulgenza lessicale vengono classificati come “sistemi per la difesa”, è un labirinto di interessi contrapposti, partite geopolitiche, pressioni regionali combattute prima con i contratti (favorendo o danneggiando un determinato Paese esportatore) e poi davvero con il piombo. Perciò il calo che più risalta è quello verso gli Usa, il principale acquirente mondiale di armi di ogni genere.
Ma gli episodi di cronaca nera, che coinvolgono nel nostro Paese i legali detentori di armi, suscitano domande riguardo al mercato interno. «Non è una questione di poco conto, se pensiamo che recentemente il governo ha raddoppiato il numero di “armi sportive”, tra cui figurano i micidiali AR-15 che sono i fucili semiautomatici più usati nelle stragi negli Usa», rilevano da Opal. Oggi con una licenza per “uso sportivo” si possono detenere 12 di questi fucili con caricatori fino a 10 colpi. I possessori di questo genere di “patente” sono quasi 585mila, «di cui la stragrande maggioranza – si legge nel dossier – non pratica alcuna disciplina sportiva»… leggi tutto l’articolo