Un foro in un’ambulanza che trasportava feriti a Yangon, in Myanmar, e un bossolo calibro 12 che riporta chiaramente la scritta “Cheddite”, il nome di un’azienda italiana che produce inneschi, polveri e altro materiale di munizionamento. È ciò che resta di uno dei numerosi scontri che da settimane infiammano il Paese, dopo le proteste scoppiate per il colpo di stato militare del primo febbraio, che ha rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi. Dall’inizio delle proteste, la violenza della repressione è cresciuta in modo esponenziale: sono 543 i morti per mano dei militari del regime birmano.
La scoperta che munizioni italiane sono state sparate in Myanmar contro i manifestanti, e addirittura contro un’ambulanza, fa emergere ancora una volta le falle nella nostra legislazione. Diverse organizzazioni della società civile italiana, tra cui Amnesty International Italia, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal), Italia-Birmania, Insieme e Rete Italiana Pace e Disarmo, hanno scritto all’azienda Cheddite Italy per chiedere chiarimenti, e hanno presentato interrogazioni parlamentari in merito…
Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia, ha spiegato a TPI che l’ipotesi più probabile è che le munizioni italiane trovate in Myanmar – che a prima vista appartengono a un proiettile per fucili a pompa – siano arrivate attraverso la cosiddetta “triangolazione”, cioè passando da un paese in cui teoricamente l’Italia può esportare armi e munizioni…