Fonte: ©Rete Disarmo
26 ottobre 2016
“Le gravi affermazioni del Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni al Question Time odierno confermano la necessità di un’indagine della magistratura sulle esportazioni di materiali d’armamento autorizzate dal Governo Renzi verso l’Arabia Saudita. Le porteremo perciò all’attenzione del Viceprocuratore di Brescia, dott. Fabio Salamone, che ha aperto un’inchiesta sulle spedizioni dall’Italia di materiali d’armamento destinate alle forze armate della monarchia saudita che, a capo di una coalizione di diversi paesi, dal marzo del 2015 è intervenuta militarmente nel conflitto in Yemen senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite”. E’ questa la posizione di Rete Italiana per il Disarmo a seguito delle dichiarazioni odierne alla Camera del Ministro Gentiloni.
Ad un’interrogazione presentata per il Question Time odierno alla Camera dall’on. Luca Frusone, il ministro degli Esteri ha risposto sostenendo sostanzialmente che gli unici divieti che porrebbe la legge n. 185 del 1990, che regolamenta la materia, sarebbero derivanti da decisioni di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armi.
Il Ministro dovrebbe invece sapere che la suddetta legge non solo vieta le esportazioni di armamenti a paesi sottoposti a forme di embargo, ma che l’esportazione «di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La Legge vieta inoltre specificamente l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere», nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione».
Il ministro degli Esteri ha correttamente affermato che nei confronti dell’Arabia Saudita non esistono sanzioni di embargo sulle armi, ma ha taciuto la Risoluzione del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza lo scorso 25 febbraio, con la quale l’assemblea di Bruxelles ha chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”, ciò alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Tale risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano.
Il Ministro Gentiloni, confermando quanto già dichiarato dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti, ha inoltre esplicitato che all’azienda RWM Italia, ditta italiana che fa parte del gruppo tedesco Rheinmetall, «ha esportato in Arabia Saudita in forza di licenze rilasciate in base alla normativa vigente».
In pratica per il Governo Italiano, ormai è ufficiale ed autorevolmente certificato dalle dichiarazioni di diversi Ministri, non è un problema legale e nemmeno politico vendere armi a Paesi che bombardano civili anche con tecniche terribili come il “double tap” (cioè il bombardamento differito per andare a colpire anche i soccorritori operanti dopo il primo attacco). Significa anche che non è considerato come “conflitto armato” quanto succede in Yemen e cioè una delle più gravi crisi umanitarie di questi anni secondo le Nazioni Unite.
Le forniture italiane in questione riguardano, come ha dimostrato l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia in uno specifico studio, bombe aeree MK 82, Mk 83 e MK 84 prodotte dall’azienda RWM Italia, con sede legale a Ghedi (Brescia) e fabbrica a Domusnovas in Sardegna.
Alcune dei relitti di queste bombe sono stati ritrovati in Yemen e – come ha documentato una recente inchiesta di Dino Giarrusso e Luigi Grimaldi per la trasmissione “Le Iene” – due di queste riporterebbero il medesimo “codice identificativo” (Nato Stock Number – NSN): un fatto alquanto anomalo considerato che – secondo le rigorose disposizioni della NATO – tale numero dovrebbe essere unico per ogni singolo pezzo (Item of Supply) di materiali d’armamento che viene esportato.
Il ministro Gentiloni ha fatto infine riferimento alla Relazione che il Governo invia annualmente alle Camere sulle esportazioni di materiali d’armamento. Anche a questo riguardo, Rete Italiana per il Disarmo evidenzia che negli ultimi due anni del governo Renzi la voluminosa relazione – pur riportando il valore complessivo delle autorizzazioni all’esportazione rilasciate e le generiche tipologie di armamento (munizioni, veicoli terrestri, navi, aeromobili, ecc.) esportate – non permette di conoscere con precisione gli specifici materiali, per quantità, valore e Paese destinatario che vengono esportati rendendo così impossibile un effettivo controllo da parte del Parlamento e dei centri di ricerca attenti al controllo degli armamenti.