di Manuel Colosio – Fonte: Corriere della Sera – Brescia
Giorgio Beretta, analista di OPAL, ricorda le «ombre» sull’Arabia Saudita
Per qualcuno una «fabbrica di morte», mentre per altri un «baluardo della democrazia occidentale». Rwm Italia, azienda controllata dalla multinazionale tedesca degli armamenti Rheinmetall con sede legale a Ghedi ed insediamenti produttivi in Sardegna, è protagonista di una storia contrastata che ha attraversato diverse volte il territorio bresciano, in particolare in occasione delle proteste promosse da gruppi pacifisti e antimilitaristi che, nel corso degli anni, si sono più volte ritrovati fuori dalla sede bresciana con manifestazioni, presidi e flash mob dalla rilevanza anche nazionale, come nel caso della campagna di pressione alle «banche armate» promossa da Pax Christi, Rete italiana pace e disarmo che manifestarono proprio davanti alla sede di via Industriale a Ghedi nel 2018 per richiamare l’attenzione sul divieto di esportazioni di armamenti a Paesi in conflitto e responsabili di violazioni dei diritti umani.
«Questa azienda ha prodotto quasi 20mila bombe aeree per l’Arabia Saudita: esportazione autorizzata nel 2016 per la guerra in Yemen, seppur anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, aveva ripetutamente denunciato i bombardamenti indiscriminati dell’aeronautica militare saudita in quel paese», spiega Giorgio Beretta, ricercatore e analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e di difesa (Opal) che ha sede a Brescia, ricordando come «l’esportazione è stata prima sospesa, poi definitivamente revocata con voto parlamentare nel gennaio del 2021, grazie soprattutto alle reiterate pressioni, campagne e manifestazioni».
«Premesso che l’esportazione di armi e sistemi militari può essere legittimata solo da esigenze di difesa di un Paese, l’attuale fornitura di bombe Rwm all’Ucraina non può certo far dimenticare le precedenti forniture e giustificare quelle attuali, anche se ritenute legittime», afferma sempre Beretta che vuole sfatare anche il falso mito che vorrebbe il settore armiero essere fucina di posti di lavoro.
Secondo l’analista «questa azienda in passato è stata protagonista soprattutto di assunzioni a tempo determinato, contratti che in occasione di blocchi come quello verso l’Arabia Saudita non sono poi stati rinnovati. Inoltre l’impatto sul Pil non è così rilevante».