Mattia Rigodanza – Fonte © The Submarine
16 maggio 2020
Chi si lamenta del presunto riscatto pagato per liberare Silvia Romano dovrebbe guardare i dati sull’export di armi italiane alle dittature di mezzo mondo, dall’Arabia Saudita all’Egitto di al-Sisi
A proposito del rapimento di Silvia Romano, al di là delle polemiche sterili sulla sua conversione all’Islam — che è stata al centro del più ignorante dei dibattiti pubblici nell’ultima settimana — in molti hanno nascosto la propria islamofobia dietro al fatto che, con il presunto riscatto pagato ai rapitori, l’Italia abbia di fatto finanziato un’organizzazione jihadista. Da ultima, per esempio, la candidata della Lega alle regionali toscane Susanna Ceccardi, che ha condiviso la notizia di un vecchio attacco di al-Shabaab contro una postazione di militari italiani, suggerendo che i soldi per il riscatto fossero “già stati messi a frutto.”
Ma quali sono le condizioni che portano a questa “dispersione” di materiale bellico?
“L’Italia spesso predilige vendere armi a regimi totalitari che le usano per perpetrare pratiche di repressione sulla popolazione e, sistematicamente, questi regimi sono vittima di rovesciamenti di potere e destituzioni che causano depredazione e dispersione di armamenti,” spiega Giorgio Beretta, analista ricercatore dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere, riprendendo una sua audizione presso la Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati nell’ambito dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. “Per esempio, le 11.100 tra pistole, carabine e fucili venduti alla Libia di Gheddafi nel 2009, secondo un accordo di partnership che non teneva conto delle sistematiche violazioni dei diritti umani e degli scopi repressivi per cui erano state presumibilmente acquistate, in seguito alla caduta del regime nel 2011 sparirono in blocco per riapparire come nuove nel mercato di Bengasi, a prezzi stracciati e alla portata di tutti, soprattutto di individui non formalmente combattenti. Una quantità di pezzi enorme, se si pensa che nell’intera Europa in cinque anni sono state sequestrate meno di 13 mila armi leggere.”
“Gli illeciti nella compravendita di armi non riguardano soltanto il mondo della criminalità organizzata, ma sono riconducibili anche alle istituzioni statali che approfittano di vuoti legislativi per aggirare le normative nazionali e sovranazionali,” continua Beretta. “Esiste una consistente ‘zona grigia’ composta da chi promuove transazioni commerciali di armi nelle quali l’utilizzatore finale non è il reale destinatario del prodotto bellico che, in questo modo, sparisce nei meandri delle reti informali all’interno delle quali troviamo anche gruppi terroristici. Se gli illeciti coprono dal 5 al 7% del mercato d’esportazione nostrano, la zona grigia arriva fino al 25%, rappresentando una sostanziosa fetta della torta.”…