“Chi si lamenta del presunto riscatto pagato per liberare Silvia Romano come di un aiuto alle azioni terroristiche – scrive Mattia Rigodanza su the Submarine – dovrebbe guardare i dati sull’export di armi italiane”. Infatti mente non sappiamo ancora con certezza se un riscatto sia stato pagato o meno, quello che sappiamo per certo, però, è che l’Italia non ha bisogno di pagare riscatti per far arrivare armi ai gruppi terroristi di mezzo mondo. Per capirlo, basta analizzare chi sono i principali destinatari delle esportazioni di armi — business in cui il nostro paese è tra i primi al mondo.
Particolarmente scandaloso è il caso dell’ Egitto dove nonostante le tensioni diplomatiche seguite al brutale sequestro e omicidio di Giulio Regeni nel 2016, la vendita di armi sulla rotta Roma – Il Cairo ha registrato incrementi vertiginosi e oggi l’Egitto è tra i primi dieci compratori di armamenti italiani. Dopo il caso Regeni, Al Sisi ha cominciato ad acquistare in modo massiccio armi “made in Italy”: + 62 milioni. Nel pacchetto ci sono pistole calibro 12,7 mm, bombe, siluri, razzi, missili, apparecchiature elettroniche e per la direzione del tiro, software.
“L’Italia spesso predilige vendere armi a regimi totalitari che le usano per perpetrare pratiche di repressione sulla popolazione e, sistematicamente, questi regimi sono vittima di rovesciamenti di potere e destituzioni che causano depredazione e dispersione di armamenti”, spiega Giorgio Beretta, analista ricercatore dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere, riprendendo una sua audizione presso la Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati nell’ambito dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. “Per esempio, le 11.100 tra pistole, carabine e fucili venduti alla Libia di Gheddafi nel 2009, secondo un accordo di partnership che non teneva conto delle sistematiche violazioni dei diritti umani e degli scopi repressivi per cui erano state presumibilmente acquistate, in seguito alla caduta del regime nel 2011 sparirono in blocco per riapparire come nuove nel mercato di Bengasi, a prezzi stracciati e alla portata di tutti, soprattutto di individui non formalmente combattenti. Una quantità di pezzi enorme, se si pensa che nell’intera Europa in cinque anni sono state sequestrate meno di 13 mila armi leggere”.
“Gli illeciti nella compravendita di armi non riguardano soltanto il mondo della criminalità organizzata, ma sono riconducibili anche alle istituzioni statali che approfittano di vuoti legislativi per aggirare le normative nazionali e sovranazionali,” continua Beretta. “Esiste una consistente ‘zona grigia’ composta da chi promuove transazioni commerciali di armi nelle quali l’utilizzatore finale non è il reale destinatario del prodotto bellico che, in questo modo, sparisce nei meandri delle reti informali all’interno delle quali troviamo anche gruppi terroristici. Se gli illeciti coprono dal 5 al 7% del mercato d’esportazione nostrano, la zona grigia arriva fino al 25%, rappresentando una sostanziosa fetta della torta”…