Giorgio Beretta, protagonista della campagna “Contro i mercanti di morte”, denuncia la scarsa trasparenza sull’export di armi. E le responsabilità dei media
Sociologo, membro della Rete per il disarmo, analista per l’Osservatorio sulle armi leggere di Brescia, ricercatore sui temi del commercio internazionale di armamenti e sul ruolo delle banche. Giorgio Beretta è stato fra i protagonisti della campagna “Contro i mercanti di morte”, che negli anni ‘80 svelò all’opinione pubblica lo scandalo della vendita di armi a Paesi sotto embargo come il Sudafrica. E che nel 1990 portò l’Italia a dotarsi di una legge in materia: la 185. Prima di allora la faccenda delle esportazioni di armamenti era cosa loro, sottratta al controllo di Parlamento e società civile perché “segreto di Stato”.
Perché questo boom nella produzione e nell’esportazione di armamenti?
C’è stata un’evidente decisione politica, che si può far risalire al 2006 con diversi governi protagonisti. Il suo compimento l’ha trovato nella nomina di Mauro Moretti ad amministratore delegato di Finmeccanica (divenuta poi Leonardo, ndr), che ha proceduto alla riorganizzazione delle controllate per una migliore integrazione ma soprattutto alla cessione di settori molto rilevanti, non ritenuti strategici. Le cessioni hanno riguardato soprattutto le aziende a produzione civile, mentre sono state mantenute e rafforzate quelle del settore militare, per concentrare il core business su aerospazio, difesa e sicurezza. Questi settori per essere competitivi non possono limitarsi alle commesse del ministro della Difesa, ma devono trovare nuovi mercati extraeuropei, come i Paesi ricchi di petrolio e altre risorse del Golfo persico, le ex repubbliche sovietiche, quelli del Subcontinente indiano e dell’Africa subsahariana. Poco importa se retti da monarchie assolute come i Paesi arabi, da dittature “paternaliste” come Turkmenistan e Kazakistan, da regimi dispotici come l’Angola, oppure se siano in conflitto fra loro come India e Pakistan o poverissimi come le Filippine: conta fare affari, sono questi a garantire la sopravvivenza della nostra industria militare. In gran parte a controllo statale, che fa affari privati ma ha costi pubblici. Basti pensare alla persone che fuggono dalle guerre e arrivano sulle nostre coste…leggi tutto l’articolo