L’Italia continua ad esportare armi leggere in assoluta mancanza di trasparenza

L’uscita del Rapporto 2009 di Small Arms Survey, uno stimato e serio centro di ricerca indipendente con sede a Ginevra, conferma il ruolo dell’Italia come secondo produttore mondiale di armi leggere con 434 milioni di dollari di esportazioni (dati 2006), preceduta soltanto dagli Stati Uniti. Gran parte di questo exploit si deve, come OPAL indica da tempo, al distretto armiero bresciano guidato dalla Beretta di Gardone V.T., la cui eccellenza produttiva è internazionalmente conosciuta. Proprio il successo produttivo e commerciale delle aziende bresciane ci induce a qualche considerazione generale.

E’ ormai venuto il momento, per aziende e autorità italiane, di cancellare le macchie che “sporcano” l’immagine delle armi leggere italiane, e che le vedono ancora coinvolte in commerci illegali o in affari formalmente leciti ma severamente condannati dall’opinione pubblica internazionale. Basta qui ricordare, al proposito, il fiume di “armi da caccia e sportive” italiane che invase l’Albania durante la guerra del Kosovo, o la “Beretta connection” grazie a cui vennero riesportate in Iraq le pistole Beretta dismesse dalla polizia italiana senza alcuna specificazione del final user e infrangendo le stesse disposizioni di legge nazionali. Insistiamo in particolare sulla mille volte constatata inattendibilità delle documentazioni di accompagnamento delle esportazioni di armi non militari (bolle di accompagnamento, bills of lading, bonifici internazionali ecc.), che non sono soggette ad autorizzazione ex legge 185/90, e sul ruolo degli intermediari (mediatori, broker, istituti finanziari e assicurativi, trasportatoriecc.) che operano senza controllo alcuno dalle loro basi nei “paradisi fiscali”. Il dato delle scarse licenses refused italiane, citato da Small Arms Survey, è la prova che il “sistema armiero Italia” persegue tuttora la non trasparenza delle proprie transazioni, considerata anzi come un fattore commerciale decisivo per vincere la concorrenza internazionale. Tuttavia, armare le polizie e gli eserciti di paesi dove la democrazia è calpestata insieme ai più elementari diritti umani, e non impedire che le pistole e i fucili Beretta vadano nelle mani delle bande armate dei “signori della guerra”, al pari dei famigerati kalashnikov russi e dei machete di fabbricazione cinese, non contribuisce certo a migliorare l’immagine del made in Italy né è servito a preservare il settore dalle crisi cicliche che tanto lo preoccupano. Leggi l’articolo su Rete Italiana per il Disarmo.

Carlo Tombola – Coordinatore scientifico Opal

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