Pierluigi Mele Fonte Rainews ©
08.05.2017
La scorsa settimana la Camera ha approvato alcune modifiche alla legge sulla legittima difesa, che dovranno ora passare all’esame del Senato. Le nuove norme hanno suscitato un aspro dibattito nel mondo politico e nell’opinione pubblica: il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Eugenio Albamonte, ha definito il provvedimento “inutile e confuso”. Anche l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia ha sollevato diverse questioni riguardo alle modifiche della legge. Ne parliamo, in questa intervista, con Mimmo Cortese, membro del Consiglio scientifico di OPAL.
Anche voi, come Osservatorio, avete espresso diverse critiche. Cosa non va e perché?
Molta attenzione, e anche una certa ironia, è stata indirizzata alla questione dell’aggressione commessa di notte. Il punto centrale è, invece, nel passaggio che prevede che la colpa di chi spara sia sempre esclusa quando l’errore sia la conseguenza di un “grave turbamento psichico” causato dall’aggressore. Si tratta, innanzitutto, di una categoria giuridica fino ad ora inesistente che metterà a dura prova i giudici che dovranno definire la sussistenza del “grave turbamento”. Ma soprattutto, porterà a pensare che, dotandosi di un’arma, non solo la propria sicurezza risulterà più garantita ma che la propria impunità, nel caso di reazione armata ad un aggressore, avrebbe di gran lunga più possibilità di essere affermata. E’ un messaggio che – come ha evidenziato il ministro della Giustizia, Andrea Olando – porterà a favorire la diffusione delle armi e che, aggiungo, indurrà a farsi giustizia da soli senza però garantire una maggiore sicurezza, ma che anzi risulterà ad un aumento della violenza armata.
Immagino si riferisca alla situazione degli Stati Uniti. E’ così?
Quello che accade quotidianamente negli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti: la libera circolazione delle armi non favorisce affatto la sicurezza, ma aumenta l’insicurezza e porta a reazioni sconsiderate e oltremodo violente non solo da parte dei cittadini ma anche delle stesse forze dell’ordine: una banale rissa diventa una sparatoria e non è raro che un semplice controllo stradale si trasformi in un omicidio. Ma mi riferivo anche a quanto già succede in Italia. Sebbene la situazione non sia certo comparabile a quella degli Stati Uniti, ci sono però diversi dati ai quali occorrerebbe porre maggior attenzione: il tasso di omicidi dell’Italia è, infatti, dopo quello degli Stati Uniti, il più alto di tutti i paesi del G7 e l’Italia è il paese nell’UE con la più alta percentuale di omicidi per armi da fuoco. E ciò nonostante nel nostro paese la disponibilità delle armi sia relativamente bassa. Le statistiche internazionali spesso non specificano se gli omicidi sono stati compiuti con armi legalmente detenute e per questo OPAL ha aperto un “Database degli omicidi e reati in Italia con armi legalmente detenute” che, stando ai dati raccolti in questi mesi, evidenzia già diverse questioni preoccupanti.
Quali sono?
Limitandoci al primo trimestre di quest’anno, a fronte di due o tre casi in cui le armi legalmente detenute da cittadini sono state utilizzate per sventare un’aggressione o un furto in casa – e uno di questi casi è quello di Casaletto Lodigiano in cui uno dei ladri è stato ucciso, caso che è sotto indagine – vi sono ben dieci casi di omicidi compiuti con armi legalmente detenute che hanno portato alla morte di 15 persone. Vi sono inoltre una quindicina di legali possessori di armi che sono sotto indagine per tentato omicidio, minaccia di morte e minaccia aggravata e sono diversi anche i casi di legali possessori di armi scoperti con armi illegali. Tornando agli omicidi, l’unico caso che ha suscitato una certa attenzione a livello nazionale è quello del panettiere di Vasto, Fabio Di Lello, che ha ucciso in pieno giorno il giovane Italo D’Elisa per vendicarsi dell’investimento mortale della moglie. Vi è stato un acceso dibattito sui presunti ritardi della giustizia, ma pochi hanno fatto notare che Di Lello, nonostante l’uso di psicofarmaci per curare la depressione, deteneva regolarmente un’arma per uso sportivo.
Il tema della legittima difesa è strettamente correlato alle norme che riguardano la detenzione e il porto d’armi. Come valutate la normativa italiana?
Contrariamente al diffuso luogo comune, la legislazione italiana è sostanzialmente permissiva in materia di detenzione di armi: oggi, a qualunque cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane, è generalmente consentito di possedere fino tre armi comuni da sparo, sei armi sportive e un numero illimitato di fucili da caccia. Mentre, infatti, il porto d’armi per difesa personale richiede di motivare la necessità e ottenere dal Prefetto un’esplicita autorizzazione che ha validità annuale, per le licenze per uso sportivo e per attività venatorie è sufficiente una semplice richiesta alla Questura allegando le certificazioni di idoneità psico-fisica e di capacità di maneggio delle armi: queste due licenze hanno una validità di sei anni. Anche per il “nulla osta” per detenere armi non è richiesto di motivare il bisogno ma, come per le altre licenze, è solo necessario richiedere l’autorizzazione alla Questura.
Una situazione che, secondo quanto avete segnalato, sta inducendo numerosi italiani a chiedere una licenza per “tiro sportivo” al fine di poter avere un’arma in casa. E’ così?
I dati rilasciati dal Viminale mostrano un forte incremento soprattutto delle licenze per tiro sportivo che nel giro degli ultimi cinque anni sono aumentate di oltre 100mila unità, mentre sono in costante calo quelle per la caccia. Ora, se è vero che per praticare il tiro a segno amatoriale non è obbligatorio essere iscritti ad una federazione nazionale, è però altrettanto vero che le due maggiori associazioni nazionali dichiarano nell’insieme di non superare i 100mila tesserati, mentre sono quasi 460mila gli italiani che detengono una licenza per tiro sportivo. Non è quindi improprio pensare che la licenza di tiro sportivo stia diventando un modo tutto sommato facile per poter detenere un’arma per scopi che nulla hanno a che fare con le attività sportive ma che riguardano invece la difesa personale, della propria abitazione o esercizio commerciale.
Voi proponete, quindi, un maggior rigore in un’ottica di responsabilità. Può spiegarci meglio?
Lo abbiamo fatto con un comunicato di OPAL col quale abbiamo sottoposto all’attenzione delle rappresentanze politiche una serie di indicazioni molto precise per migliorare le normative vigenti riguardo all’accesso e alla detenzione di armi. Non posso qui illustrarle tutte, ma il principio alla base è che ogni tipo di licenza debba essere adeguatamente motivato specificando la necessità di detenere l’arma e che il rilascio di ogni tipo di permesso debba essere valutato dalle autorità competenti anche a seguito di precisi accertamenti medici e non, come avviene attualmente, solo con una autocertificazione controfirmata dal medico curante e un semplice esame di idoneità psico-fisica da parte dell’ASL. Crediamo inoltre fondamentale che la legge definisca con precisione il tipo e il numero di armi e munizioni che possono essere detenute per la difesa personale, in ambito abitativo o di un esercizio commerciale prevedendo soprattutto l’utilizzo di armi e munizioni di tipo non letale ed escludendo tutte le armi di tipo sportivo o da caccia.
Torniamo alla questione della legittima difesa. Ci sono dei correttivi da apportare alla legge attuale? Secondo voi, quali principi andrebbero invece mantenuti saldi e invariati?
Riteniamo che si possano considerare alcuni correttivi a quelle norme che rischiano di penalizzare ingiustamente la persona che subisce un’aggressione: pensiamo, ad esempio, alle norme che in un certo senso finiscono per mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore. Ma non è ammissibile alcun tipo di modifica che si fondi sull’assunto secondo cui “la difesa è sempre legittima”. Per essere legittima la difesa deve, infatti, sempre rispondere alle condizioni, previste nel nostro ordinamento, della necessità di difendere se stessi o altri (e quindi come extrema ratio), di attualità o inevitabilità del pericolo (il pericolo deve essere reale ed effettivo e non solo ipotetico, presunto o possibile) e di proporzionalità tra difesa e offesa. Inoltre, e questo è fondamentale, va ribadito che la potestà punitiva appartiene esclusivamente allo Stato che deve garantire le misure idonee a salvaguardare la sicurezza della collettività proprio per prevenire forme di “giustizia privata”.