02 dicembre 2018
Una buona notizia, si direbbe. Ma se si leggono i dati nel dettaglio si scopre non solo che proseguono le spedizioni di armi semiautomatiche alle forze dell’ordine e a corpi di sicurezza di regimi autoritari, come Turchia ed Egitto (nel luglio 2018 aumentate di mezzo milione, a due milioni di euro). Soprattutto persiste o cresce l’export verso le zone di crisi da cui provengono i migranti in Italia: Africa settentrionale (30 milioni di euro nel 2017, 12 nel 2016) e subsahariana (11,3 milioni nel 2017, 8,6 nel 2016). Numeri che svelano la grande ipocrisia: con una mano vendiamo armamenti a dittature le cui azioni costringono gli abitanti alla fuga e con l’altra abbiamo la pretesa un po’ paternalista di fermare chi vuole salvarsi da conflitti e persecuzioni perpetrati anche con armi made in Italy.
Un caso speciale è poi quello dell’Arabia Saudita, nostro cliente (a giugno 2018 gli abbiamo fornito armi per 10 milioni di euro): sobilla la guerra in Yemen (20 mila morti in tre anni), reprime il proprio popolo, esporta l’islam più fondamentalista (wahabita) e il principe ereditario è fortemente sospettato di essere il mandante dell’omicidio di Jamal Kashoggi, giornalista saudita dissidente fatto letteralmente a pezzi con una motosega. Un orrore. Un acquirente di cui vergognarsi, ma verso il quale anche gli Usa hanno riconfermato di recente la «forte alleanza».
Nel presentare il rapporto l’Osservatorio permanente ha ricordato come «da diversi anni portiamo all’attenzione nazionale queste informazioni: va però notata la scarsa attenzione di gran parte delle forze politiche alle problematiche connesse alle esportazioni di armi e alle violazioni dei diritti umani». Anzi, nel frattempo è sorto un problema interno: l’attuale governo ha raddoppiato il numero di «armi sportive» tra cui i micidiali AR-15, i fucili semiautomatici più usati nelle stragi negli Stati Uniti. Con una licenza per «uso sportivo» si possono detenerne 12 con detonatori fino a 10 colpi. I possessori di questa «patente» sono quasi 585 mila, «di cui la stragrande maggioranza – è scritto nel dossier dell’Osservatorio – non pratica alcuna disciplina sportiva».
Chi nei giorni scorsi ha criticato con argomentazioni misere («se l’è cercata», «ora ci toccherà pagare il riscatto», per restare alle meno incivili) Silvia Romano, rapita in Kenya, farebbe bene a cambiare obiettivo. La giovane volontaria esporta piccoli progetti di sostegno all’infanzia, e non armi alle dittature. Aiuta gli africani a casa loro, secondo un’espressione abusata ma raramente messa in pratica. Quando non osteggiata. Un emendamento al decreto fiscale introduce infatti una tassa dell’1,5% sulle transazioni finanziarie verso Paesi extra Ue compiute con i money transfer. La misura della Lega sarà operativa da gennaio ed esclude i trasferimenti di natura commerciale: colpirà quindi quasi esclusivamente i migranti regolari che inviano i risparmi ai familiari nel Paese d’origine. Sono le cosiddette rimesse, il cui valore complessivo in Italia è più alto di quanto i governi destinino alla cooperazione internazionale allo sviluppo. Il volume totale da quest’anno è tornato a crescere per la prima volta dal 2013: nel primo semestre 2018 le rimesse ammontano a 2,71 miliardi di euro (+11% rispetto al 2017). Se la tendenza resterà inalterata nel secondo semestre dell’anno, verranno raggiunti i 5,5 miliardi. Il 20% resta nella Ue, soprattutto per le rimesse dei romeni. Applicando la nuova tassa dell’1,5% ai 4 miliardi restanti, si ricava una cifra di 62 milioni di gettito, sottratti a quella che è una forma di aiuto a contenere le migrazioni: con i soldi delle rimesse i parenti dei migranti in Italia riescono a campare e a non emigrare, quando non a mettere in piedi piccole attività lavorative, come officine, falegnamerie o sartorie. Non sarebbe più saggio allora aumentare le tasse sul business degli armamenti? Aiutiamoli a casa loro: che ipocrisia…leggi tutto l’articolo