Le armi legali servono più a uccidere le donne che a difendersi dai malfattori.
A luglio nel giro di due giorni sono morte Anastasia Rossi, Eufrosina Martini e Grazia Sicilia. Hanno poche cose in comune: Anastasia era un’infermiera 35enne di Borgotaro, Eufrosina una pensionata 71enne di Bagnolo Piemonte, Grazia una venditrice ambulante 45enne siciliana ma residente ad Aprilia.
A unirle però due cose: sono morte ammazzate dal compagno o marito, che in tutti e tre i casi si è poi sparato in testa, e sono state uccise con armi legalmente detenute, le prime due a colpi di pistola, l’ultima a fucilate.
Nell’Italia dove calano tutti i delitti tranne il femminicidio, come hanno dimostrato gli ultimi dati resi noti dal Viminale a Ferragosto, non è secondario registrare come le armi detenute in casa con regolare licenza e porto d’armi servano più ad ammazzare le donne che a difendersi dai malfattori, in evidente contraddizione con la visione securitaria che ha avuto nell’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, propugnatore nel 2019 della riforma della legittima difesa, uno dei più accesi fautori.
A lanciare l’allarme Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia, che da tempo mette in guardia sul fenomeno dei pistoleros domestici e da anni aggiorna meticolosamente un database con l’elenco dei delitti commessi con armi legali. Se si scorre il 2020 dei 20 casi esaminati da Opal solo due sono extrafamiliari, per il resto la maggioranza vede uomini che ammazzano parenti, per lo più mogli o compagne.
Secondo gli ultimi dati illustrati dalla ministra degli Interni Luciana Lamorgese, riportati nel grafico in foto….
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