Giorgio Beretta* – Fonte: © Il Manifesto
06 agosto 2019
Arsenali privati. Il governo Conte ha raddoppiato il numero di armi sportive detenibili invece di ridurlo. Ma il numero degli “sportivi” è meno della metà di quello dei fucili semiautomatici in circolazione. Mentre le associazioni armiere lavorano al “modello Usa”
Odio razziale e religioso di stampo etno-suprematista misto a fascinazioni nazifasciste e facile accesso alle armi. È la miscela esplosiva che continua ad alimentare i mass shooting negli Stati uniti e non solo. Patrick Crusius afferma di essere «un sostenitore della strage di Christchurch» in Nuova Zelanda.
Lo fa nel suo delirante manifesto postato poco prima di compiere la strage nel supermercato Walmart a El Paso in Texas. L’autore della strage di Christchurch, l’etnonazionalista australiano Brenton Tarrant, scriveva di essersi ispirato a Luca Traini, l’attentatore xenofobo che dalla sua auto sparò all’impazzata sugli immigrati di colore di Macerata.
«Difendo il mio Paese dalla sostituzione etnica e culturale portata da un’invasione», aggiunge Crusius nel suo allucinante manifesto. Crusius e Tarrant non sono soli.
Prima di loro vi è stato il simpatizzante dell’ultradestra antisemita Robert Bowers, autore della strage nella sinagoga di Pittsburgh; il giovane razzista e islamofobo Nikolas Cruz, della sparatoria di Parkland in Florida; il giovane suprematista neonazista Dylann Roof della carneficina della chiesa degli afroamericani di Charleston nel Sud Carolina. Solo per ricordarne i più recenti.
Un lungo elenco nel quale – non dovremmo mai dimenticarlo – va annoverato anche il filonazista norvegese Anders Breivik che nel luglio del 2011 ha compiuto la strage con un fucile semiautomatico regolarmente detenuto sui giovani del Partito laburista radunati nell’isola di Utoya.
Dagli Stati uniti alla Nuova Zelanda, dall’Italia alla Norvegia con un unico filo conduttore: l’odio xenofobo, religioso e razzista. Ma con un’altra costante, troppo spesso sottovalutata: gli autori di queste stragi erano tutti in possesso di una regolare licenza per armi.
Così, mentre la propaganda politica razzista arma il cervello, il facile accesso alle armi ne agevola l’esecuzione. Il mix è letale e ci riguarda da vicino. La Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza inviata al Parlamento italiano nel febbraio scorso indica un crescente «dinamismo della destra radicale», il cui «attivismo, di impronta marcatamente razzista e xenofoba, si è accompagnato a una narrazione dagli accenti di forte intolleranza nei confronti degli stranieri» (p. 100).
Il terreno è pronto e, non serve dirlo, è costantemente fertilizzato da espliciti messaggi di stampo identitario lanciati dai leader della destra europea e italiana, non ultimo il ministro degli Interni, Matteo Salvini.
Ma – si dice – da noi non è come negli Stati uniti in cui le armi si possono comprare al supermercato. «Sulle armi, l’Italia ha le norme più restrittive d’Europa», aggiunge la propaganda delle riviste patinate. Chiunque abbia preso una licenza per armi sa che non è vero.
A qualunque cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane, è infatti generalmente consentito di ottenere una licenza dopo aver superato un breve
esame di maneggio delle armi. E non sono poche.
Il governo Conte, su pressione della Lega e con il tacito consenso del Movimento Cinque Stelle, l’estate scorsa è infatti riuscito, unico in Europa, a recepire in senso estensivo la direttiva comunitaria che avrebbe dovuto restringere le maglie sulle armi: il numero di «armi sportive» (tra cui i fucili semiautomatici tipo Ak-47 o Ar-15, quelli cioè più usati nei mass shooting) detenibili è stato raddoppiato, portandolo da sei a dodici ed è stata raddoppiata anche la capacità dei caricatori acquistabili senza denuncia (da cinque a dieci colpi).
Un autentico regalo ai produttori di armi. Così oggi, con una semplice licenza per tiro sportivo, per la caccia o per mera detenzione (nulla osta), è possibile tenersi in casa tre pistole con caricatori fino a 20 colpi, dodici «armi sportive» con caricatori da 10 colpi e un numero illimitato di fucili da caccia. Un autentico arsenale.
Secondo alcune stime, sarebbero più di 700mila i fucili semiautomatici presenti nelle case degli italiani. Tutti con regolare licenza, certo. Ma viene da chiedersi a cosa possano servire, visto che le federazioni nazionali di tiro sportivo affermano che i loro soci sono poco più di 100mila.
Anche includendo le associazioni locali e i poligoni privati non si arriva a 200mila aderenti. Mancano all’appello almeno 400mila possessori di armi con licenza per «tiro sportivo». Per non parlare di molti altri, probabilmente due milioni che, pur continuando a possedere armi, da anni non rinnovano la licenza. Tutti armati. Fino ai denti.
E la lobby delle armi si è organizzata. Le tre principali associazioni di settore armiero (Anpam per i produttori, AssoArmieri per i commercianti e Conarmi per gli artigiani) l’anno scorso hanno diramato un comunicato nel quale invitano gli appassionati a tesserarsi a uno dei gruppi più attivi nel difendere gli interessi dei legali detentori di armi: il Comitato D-477, oggi Unarmi.
L’obiettivo del gruppo, che fa parte della rete Firearms United e con contatti diretti con la Nra statunitense, è introdurre anche in Italia una sorta di «diritto alle armi». Proprio come quello in vigore negli Stati uniti. I cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
*analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal)
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