Carlo Tombola – Fonte: © Il Manifesto
16 marzo 2018
La recentissima joint venture tra Beretta e il governo del Qatar è una conferma di una tendenza da tempo in atto – la proiezione internazionale e delocalizzatrice dell’azienda bresciana – e al tempo stesso un fatto nuovo, perché per la prima volta la Beretta avrà una base produttiva nel Golfo persico, una delle zone più conflittuali del pianeta».
Quello della Beretta non è il solo grande affare di armi tra Italia e Qatar. Nella posizione internazionale di secondo piano – ma comunque di rilievo – in cui l’Italia è collocata, di ossequiente alleato degli Stati Uniti e membro convinto della Nato, alla nostra industria degli armamenti è storicamente concessa una certa autonomia di manovra e quindi di profitto: e il Qatar non è un partner commerciale qualunque.
Fincantieri è stato uno degli sponsor principali nella Fiera internazionale per la difesa marittima appena chiusasi a Doha, il Dimdex. Il ministro italiano della Difesa Pinotti l’ha visitata l’altro ieri nel suo quarto viaggio ufficiale in Qatar e, in precedenza, nell’ottobre 2017, nel marzo 2016 durante la precedente edizione del Dimdex e nel luglio 2015. Questo attivismo governativo ha assecondato l’intensificazione della collaborazione militare e commerciale che risale all’ultimo governo Berlusconi.
Più di recente, nel 2015, Pinotti firmò un accordo di collaborazione tecnico-operativa con le forze armate del Qatar e nello stesso tempo Selex ES (gruppo Finmeccanica) fornì a Doha il sistema radar Kronos per la sorveglianza dello spazio aereo dell’emirato. Il Dimdex 2016 seguì di poche settimane un grosso contratto a favore del consorzio Eurofighter, per la fornitura di 28 Typhoon del valore di 7-8 miliardi di euro in vent’anni.
Nell’agosto 2017 vi fu poi la firma del grande contratto per sette navi di Fincantieri per 5 miliardi di dollari.
Nel recentissimo Dimdex 2018 vi è stata, infine, la firma di un contratto da 3 miliardi di euro per la fornitura di 28 elicotteri NH90, bimotori multiruolo, 12 per missioni navali e 16 per missioni terrestri (si tenga presente la geografia dell’emirato, che ha un territorio con una superficie inferiore alla metà della Lombardia e un’estensione massima nord-sud di 160 km), estendibile ad altri 12 elicotteri.
Leonardo (ex Finmeccanica) fornisce anche i sistemi radar e sonar e l’armamento (mitragliatrici, siluri, missili antinave).
Un profilo diverso acquista invece l’accordo relativo alla Beretta, per il quale la monarchia qatarina ha creato una struttura industriale-finanziaria ad hoc, la Bindig controllata da Barzan Holdings (emanazione del Ministero della difesa del Qatar), per produrre armi leggere a Doha. Rispetto ai maxi-contratti sopra ricordati in questo caso la dimensione economica è certo inferiore e per il momento anche ignota.
Tuttavia è forse più allarmante, non solo in considerazione delle forti limitazioni dei diritti politici all’interno dell’emirato, che di fatto è una monarchia assoluta, ma soprattutto per la sua proiezione internazionale che nel giugno 2017 ha spinto i paesi arabi del blocco filo-saudita a decidere sanzioni economiche-diplomatiche contro Doha, accusata di fiancheggiare Hamas e i Fratelli musulmani.
Il nuovo stabilimento di Doha sarà infatti la piattaforma produttiva per l’armamento leggero delle forze armate locali, ma anche la possibile origine di un flusso di export totalmente “opaco”, e non controllabile, diretto verso aree del mondo a cui, sinora, non sono mai giunte armi fabbricate dall’azienda di Gardone Val Trompia.
Carlo Tombola * Direttore scientifico dell’Osservatorio Permanente Armi Leggere (OPAL) di Brescia
leggi l’articolo su ©Il Manifesto