I crimini sono in calo da 7 anni. Ma ora puoi comprarti un Kalashnikov

Mattia Madonia –  Fonte: © The Vision
17 settembre 2018

L’Hit Show di Vicenza è la più importante fiera delle armi in Italia. Quest’anno, lo scorso febbraio, le polemiche si sono concentrate sulla scelta di far entrare i bambini nei padiglioni con i fucili esposti in bella mostra. Mentre divampava l’indignazione, sotto traccia si è consumato un incontro le cui ripercussioni si sono palesate in questi giorni: Matteo Salvini ha siglato un accordo con i rappresentanti della lobby delle armi, di fatto trasformando l’Italia in una provincia del Texas.

Erano i giorni caldi di una campagna elettorale che stava giungendo al termine tra nervosismo, promesse, voli pindarici e lessico da guerra civile. Alla fiera di Vicenza, in uno stand appartato, il giornalista Fabio Butera è riuscito a filmare parte dell’incontro tra Salvini e i signori delle armi. Tra questi Lamberto Cardia, presidente dell’associazione EnalCaccia, che si è lasciato sfuggire la frase: “Trovare chi far votare e da chi ricevere però una garanzia che dopo non si limiti alla caccia.” Salvini a quel punto ha voltato la testa, notando la telecamera. Ha subito fatto allontanare i giornalisti indiscreti, ma ormai era troppo tardi. Inoltre, è venuto fuori un documento inequivocabile: Salvini ha promesso sul suo “onore” di impegnarsi per coinvolgere la lobby in ogni provvedimento che potesse riguardarla, sigillando un patto per la tutela dei detentori legali di armi…

Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia, storce il naso ed è il primo a denunciare i pericoli di questo accordo. Ha dichiarato infatti che “Più che alle esigenze di sicurezza pubblica e alle necessità dei veri sportivi, le modifiche introdotte rispondono alle pressioni della lobby delle armi. L’impressione è che il M5S abbia dato carta bianca alla Lega e che Salvini abbia così cominciato a dar corso a quel patto d’onore.”

Qualche mese fa il presidente Mattarella si era espresso con toni severi: “L’Italia non può somigliare a un far west dove un tale compra un fucile e spara dal balcone.” Soprattutto in un periodo di odio sociale, dove gli episodi di razzismo sono all’ordine del giorno, incentivare l’acquisto delle armi – con tutte le agevolazioni possibili – rappresenta per un Paese democratico un autogol dalle proporzioni incalcolabili.

In Italia manca un censimento affidabile delle armi, e non è un problema irrilevante. Basti pensare che il rapporto che più si avvicina a uno studio dettagliato risale a dieci anni fa, e indica un numero che va tra i 4 e i 10 milioni di armi da fuoco presenti sul territorio: una forbice estremamente ampia. In teoria, per legge, ogni arma deve essere denunciata entro 72 ore, quindi il Viminale dovrebbe avere dei dati e delle certificazioni in mano per poter stabilire con chiarezza quante armi girano sul territorio.

L’analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) – che per un gioco del destino si chiama Giorgio Beretta – chiede a gran voce che questo dato venga monitorato. “Invece,” dice, “Viviamo in un Paese in cui è possibile sapere quanti cellulari o automobili possiedono gli italiani, ma non quante armi da fuoco ci siano nelle loro case.”

Una statistica che invece è possibile consultare riguarda il numero di omicidi per arma da fuoco ogni 100mila abitanti. Tra i Paesi del G8, soltanto gli Stati Uniti sono davanti all’Italia, che con il suo 0.9 surclassa il Canada (al terzo posto) e supera con un numero due o tre volte maggiore Regno Unito, Giappone, Germania, Francia e Russia. Allo stesso tempo, l’insensatezza di questa norma risulta chiara anche solo guardando le statistiche sui crimini in Italia, in calo consistente da diversi anni: rapine e furti non sono qualcosa da cui esiste la necessità di difendersi tenendo una rivoltella sotto al cuscino. …leggi tutto l’articolo