Attentato Nuova Zelanda: la premier, il terrorista e la lobby delle armi

Giorgio Beretta – Fonte: ©Osservatorio Diritti
21 marzo 2019

Nel suo discorso fatto al Parlamento della Nuova Zelanda, il primo ministro decide di non pronunciare mai il nome del terrorista che ha ucciso 50 persone nella strage di venerdì scorso. Una scelta che (forse) non tiene conto che coincide con la linea di comunicazione della lobby delle armi, che mira a far dimenticare che l’estremista era un legale detentore di armi

 

Parlando dell’autore della strage di venerdì scorso nelle due moschee di Christchurch, il primo ministro della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, ha fatto in Parlamento un discorso molto importante. Concordo su molto di quanto ha detto, dissento totalmente sull’affermazione:

«È un terrorista. È un criminale. È un estremista. Ma, quando parlo, non pronuncerò mai il suo nome».

Il primo ministro ha spiegato questa sua decisione dicendo: «Forse cercava notorietà, ma noi, in Nuova Zelanda, non gli daremo niente. Nemmeno il suo nome».

Perché dissento dalla premier della Nuova Zelanda

Proprio per far dimenticare gli autori delle stragi, negli Stati Uniti, che nella stragrande maggioranza dei casi sono dei legali detentori di armi, la lobby delle armi, capitanata dalla National Rifle Association (Nra), ha coniato e promuove il motto Remember the hero, forget the zero (Ricorda l’eroe, dimentica la nullità, cioè il terrorista).

Con questo motto la gun-lobby intende non solo far ricordare i nomi dei civili (e soprattutto quelli – pur rarissimi –  di civili armati) che hanno fermato o distratto il terrorista, ma soprattutto – ed è qui il punto – intende far dimenticare che il terrorista bianco autore del mass-shooting era un legale detentore di armi che ha fatto la strage con armi legalmente detenute.

La strategia della lobby delle armi in caso di strage

La lobby delle armi (sempre dopo, mai prima) cerca di attribuire la responsabilità della strage a “mancati controlli” o “inadempienze”: ma lo evidenzia solo per quel caso e si guarda bene dal chiedere norme più rigorose, controlli più stringenti e – soprattutto – cerca di evitare restrizioni sulle armi in possesso dei civili.

Inoltre definisce sempre l’attentatore come un “pazzo”: una chiara tecnica proprio per porre distanza tra lo stragista – che era un legale detentore di armi – da coloro che detengono armi. Come noto, lo stragista diventa “pazzo” solo dopo la strage: fino a cinque minuti prima era per tutti «un onesto e responsabile cittadino» che deteneva armi per difendere sé e i suoi cari e per praticare dello sport e la caccia. In altre parole, un cittadino modello.

Per prevenire un nuovo attentanto serve altro

Ci sono altre due questioni molto importanti.

Innanzitutto, non è affatto detto che non diffondere (o portare all’oblio) il nome dello stragista terrorista possa essere utile a prevenire ulteriori attentati. Non giova certo alle vittime della strage e non aiuta nemmeno a far ricordare la strage. Aiuta solo a far dimenticare la persona che l’ha compiuta. Ma non c’è alcuna evidenza che dimostri che dimenticare (e far dimenticare) il nome di chi ha compito una strage sia in qualche modo utile come monito.

Non si può nemmeno addurre la tesi che verrebbe fatto per “prevenire emulazioni”. Chi intende emulare l’atto di un terrorista lo farà indipendentemente da quante volte verrà pronunciato il nome del terrorista, dalla notorietà che avrà sui media o da quante volte appare in televisione. Lo farà perché vorrà sostenere la stessa causa perversa di quel terrorista e vorrà emulare o superare la sua (questo sì) azione terroristica e stragista, condividendone l’ispirazione suprematista, nazifascista o nazionalista.

Anche ai terroristi va riconosciuta la dignità di persona

Ma, soprattutto, ogni autore di un crimine, anche il più efferato, è e resta una persona. Ciò non significa non definire il suo atto come criminale e, anzi, va detto – come ha fatto il primo ministro neozelandese – che è «un terrorista, un criminale, un estremista». Ma la dignità di ogni persona, anche del peggior terrorista, va sempre salvaguardata a partire da ciò che lo definisce come persona: il suo nome.

L’operazione di definire semplicemente come “terrorista” (“il” terrorista e non “un” terrorista) una persona facendone dimenticare il nome è contraria alla sua dignità, è ben oltre la necessaria condanna: tende a fare della persona una rappresentazione, a stigmatizzarlo non solo per quello che ha fatto, ma nel suo stesso essere. Non aiuta nemmeno un possibile processo di riabilitazione della persona, che lo Stato di diritto dovrebbe sempre cercare di perseguire come prioritaria.

Il primo ministro neozelandese ha inoltre annunciato restrizioni sulle armi. È questa l’unica effettiva ed efficace strada maestra per cercare di prevenire stragi come quelle che puntualmente avvengono negli Stati Uniti: norme più severe nel rilascio delle licenze, rigorose restrizioni sulle armi che possono essere detenute, maggiori e più efficaci controlli sui legali detentori di armi.

Il primo ministro neozelandese, Jacinda Ardern, quindi farebbe bene a ricordare sempre a tutti il nome del suprematista bianco autore della strage di Christchurch: si chiama Brenton Tarrant, era un legale detentore di armi e ha potuto fare la strage con armi regolarmente detenute…leggi tutto l’articolo