“Armi un’occasione da perdere” – Annuario 2009

 

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In media, sul prelievo fiscale di una famiglia italiana di 4 persone, circa 1300 euro l’anno sono destinati a spese militari e quindi ad alimentare il grande e complesso mercato delle armi nel quale il nostro Paese è tra i primi dieci al mondo. Nel 2007 ha esportato ufficialmente in 71 paesi, ma naturalmente questi dati non tengono conto di tutto il volume di merci e affari, spesso legati al contrabbando, che rende i numeri ancora più grandi ed espressivi.

Quello che si sa è che le armi leggere sono diventate il grande combustibile che alimenta genocidi e crimini contro l’umanità e che ogni giorno fa più di mille morti nelle principali metropoli del pianeta.
Questo annuario dell’OPAL, oltre a riportare dati aggiornati su tale mercato e a fissare le responsabilità italiane in questo settore specifico del commercio internazionale, apre un dibattito che sempre più deve uscire dalla clandestinità e diventare pubblico: non solo per il volume di affari che muove e per i rapporti che crea, ma anche e soprattutto perché si riferisce al tipo di società e di mondo che si vuole o si cerca di costruire. Molto più che in altri settori dell’economia, è importante che su questo argomento ognuno esprima il suo parere e, con conoscenza di causa, possa dire quanto e come le armi devono trovare spazio nel mondo di oggi.

A cura di OPAL – Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere. Organizzazione di Brescia che riunisce persone e associazioni impegnate a combattere il traffico illegale di armi e a trasformare l’industria armiera in attività produttive socialmente utili.

Una grande industria bellica. Fino all’ultimo conflitto mondiale, gli Stati Uniti non avevano industria degli armamenti. I fabbricanti di aratri potevano anche, se richiesti con un certo anticipo, costruire spade. Ma ora non possiamo più rischiare improvvisazioni congiunturali nella nostra difesa nazionale; siamo stati costretti a creare un’industria bellica permanente di vaste proporzioni. In aggiunta a ciò, tre milioni e mezzo di uomini e donne sono direttamente impegnati nel settore difesa.Noi spendiamo annualmente solo per la nostra difesa più di quanto tutte le grandi aziende statunitensi realizzino in utili netti.

La combinazione di un immenso apparato militare con una grande industria bellica è cosa nuova nell’esperienza americana. Questa influenza totalizzante – economica, politica e persino spirituale – è sentita in ogni città, in ogni parlamento statale, in ogni ufficio del governo federale. Riconosciamo la necessità imperativa di questo cambiamento. Pure non dobbiamo mancare di comprenderne le gravi implicazioni. Ne sono coinvolte le nostre fatiche, le risorse e il nostro tenore di vita, ovvero i fondamenti stessi della nostra società. Dobbiamo prevenire l’acquisizione più o meno deliberata di una indebita influenza da parte del complesso militare industriale nelle sedi decisionali. Il pericolo di un potere occulto esiste e persisterà. Non permetteremo che questo comprometta le nostre libertà o i nostri processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una vigile e ben informata società civile può conciliare un’enorme macchina militar-industriale con i nostri metodi e obiettivi pacifici, cosicché sicurezza e libertà possano prosperare insieme. (dal discorso di addio alla nazione del presidente Eisenhower, 19 gennaio 1961)-

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