(…) L’allarme viene rilanciato da Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa, con sede a Brescia, che oggi ha presentato un dossier sulla produzione della armi leggere in Italia sui dati del Banco Nazionale di Prova. «Su quali basi – chiede Carlo Tombola, coordinatore scientifico di Opal – si può considerare “strategico” un settore industriale? Innanzitutto per la sua importanza per la sicurezza dei cittadini, per la rilevanza economica in termini di contributo al PIL, infine per il suo ruolo socio-economico, cioè per quanti posti di lavoro diretti e nell’indotto abbia creato».
Sorprendentemente, «oggi per l’industria italiana delle armi nessuno di questi dati è disponibile, cioè non è ricavabile né dalle statistiche nazionali né attraverso studi scientifici di settore compiuti da enti indipendenti». Solo due gli spiragli da cui si riesce a gettare uno sguardo, molto parziale, sul settore. Il primo è quello aperto dal 1990 dalla legge 185/90 sull’esportazione di armi militari «e quindi il suo contributo alla bilancia commerciale del paese, che è praticamente irrilevante (circa 3 miliardi di esportazioni, pari allo 0,63%, a fronte di 476 miliardi di esportazioni complessive dal nostro Paese)».
Per il resto, i dati che circolano – sostiene Opal – «spesso sono solo quelli diffusi dalle stesse aziende produttrici e dalle loro rappresentanze lobbistiche, semplicemente “autocertificati”, per difendere gli interessi di settore». Una carenza che si ripresenta anche il settore delle armi leggere, considerato un fiore all’occhiello dell’industria manifatturiera italiana, «l’unico al mondo in grado di competere con lo strapotere di produttori Usa». L’unico varco nel mondo semisegreto dei produttori di pistole e fucili italiani è costituito dunque dai dati annualmente diffusi dal Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e per le munizioni commerciali di Gardone Val Trompia, a Brescia»….