di Lorenzo Salvia – Fonte: © Il Corriere della Sera
Autocertificazioni, privacy, mancanza di verifiche e i rischi di rilasciare permessi lunghi cinque anni. «In Italia manca un dato preciso sul numero delle armi».
Ma è proprio vero che la legge italiana sulla vendita delle armi è così severa? Lo ripetiamo ogni volta che dagli Stati Uniti arriva la notizia di una di quelle terribili stragi nelle scuole che da noi non esistono. In parte è vero. Ma quella severità con cui ci consoliamo è più teorica che pratica, basata soprattutto su autocertificazioni di fatto e fiducia nel prossimo che lasciano enormi margini di manovra a chi ne vuole approfittare. La cosa migliore è partire dalle licenze per uso sportivo, quelle richieste da chi spara nei tiro a segno. Rispetto a venti anni fa, quando erano poco più di 100 mila, adesso superano quota mezzo milione. E compensano la progressiva diminuzione delle licenze dei cacciatori, scese in 20 anni da quasi 900 mila a poco più di 600 mila. Senza voler accusare una categoria intera, bisogna ricordare che proprio questo tipo di permesso era nel portafoglio degli autori degli ultimi due omicidi compiuti a Roma con «arma regolarmente detenuta», come si dice in questi casi: il femminicidio di Martina Scialdone, uccisa dal suo ex davanti al ristorante, e la strage di Fidene di metà dicembre, per un mix di rancori e liti condominiali.
Quali sono i dettagli che possono trasformare una legge severa in una regolamentazione piena di buchi? Intanto la durata della licenza, cinque anni. In 1.800 giorni la vita di una persona può rovesciarsi completamente. Un divorzio, una malattia, un fallimento, un licenziamento. Mille traumi piccoli e grandi che possono cambiare radicalmente la prospettiva di vita, l’equilibrio di ognuno di noi. E di sicuro la vita di molte persone è cambiata parecchio negli ultimi tre anni, dal Covid in poi. Un secondo problema lo spiega Giorgio Beretta, dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere: «Il certificato medico necessario per ottenere il porto d’armi, compreso quello per uso sportivo, è spesso un’autocertificazione di fatto». In che senso? «È il diretto interessato che compila il modulo, dicendo che non ha malattie nervose, non ha turbe psichiche, non è dipendente da alcol e stupefacenti. Poi porta quel foglio dal medico che, se non sospetta nulla di strano, controfirma. E la cosa finisce lì». Si va sulla fiducia…
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