Femminicidi con l’arma d’ordinanza


Giorgio Beretta – Fonte: il Manifesto 

Il 5 gennaio si è consumato primo femminicidio dell’anno. A Gualdo Tadino (Perugia) una guardia giurata, Daniele Bordicchia (39 anni) ha sparato e ucciso la moglie, Eliza Stefania Feru, ventinovenne cittadina italiana ma originaria della Romania, per poi suicidarsi. Dalle prime indagini l’uomo avrebbe ucciso la moglie con un solo colpo sparato con l’arma di servizio regolarmente detenuta. I motivi alla base della tragedia sono al vaglio degli inquirenti: i carabinieri, in un comunicato ufficiale, parlano di “probabile movente” nell’ambito di “dissidi coniugali”, ma agli atti non risultano denunce o segnalazioni da parte della moglie. La coppia era sposata dal maggio scorso e non aveva figli. Eliza lavorava come operatrice socio-sanitaria all’Istituto Serafico di Assisi dove da poco era stata assunta stabilmente: “Lavorava con i bambini ed era brava. Siamo sconvolti”, ha detto Francesca Di Maolo, presidente del Serafico.

Non è la prima volta che il nuovo anno si apre con un femminicidio commesso da una guardia giurata. Due anni fa a Genova il 5 gennaio, Andrea Incorvaia, guardia giurata di 32 anni, ha sparato e ucciso la fidanzata, Giulia Donato di 23 anni: anche in quel caso l’omicida ha utilizzato l’arma di servizio con la quale si è poi suicidato.

E l’anno scorso il primo femminicidio con un’arma da fuoco è stato compiuto da un giovane con un’arma d’ordinanza. A Cisterna di Latina, il 13 febbraio, il maresciallo della Guardia di Finanza Christian Sodano, 27 anni, al culmine di una lite a casa della sua ex fidanzata Desiree Amato di 30 anni, ha estratto la pistola e aperto il fuoco, uccidendo la mamma di lei, Nicoletta Zomparelli di 46 anni e la sorella Renèe di 19 anni. La ex fidanzata è miracolosamente riuscita a sfuggire dalla furia omicida del finanziere.

Sono tutti femminicidi commessi da giovani che vestivano un’uniforme per mezzo di un’arma d’ordinanza. Ogni anno ve ne sono almeno quattro o cinque: sembrano pochi in raffronto a quasi cento omicidi di donne che si verificano nel nostro Paese. E forse proprio per questo, al di là del momentaneo scalpore da parte degli organi di informazione, non diventano oggetto di un’attenzione sociale più approfondita. Eppure sono commessi da persone giudicate affidabili, preposte alla pubblica sicurezza.

Il possesso di un’arma d’ordinanza non è un elemento secondario in questi femminicidi. L’arma da fuoco non costituisce infatti solo lo strumento per eseguire un assassinio, ma rappresenta un elemento centrale nell’ideazione e nella progettazione del femminicidio.

Il fenomeno dei femminicidi commessi da persone in uniforme andrebbe analizzato attentamente prima della prossima approvazione del disegno di legge “sicurezza”. Il DdL 1660 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” intende infatti permettere a tutti gli agenti di pubblica sicurezza di acquistare una o più armi senza l’obbligo – attualmente in vigore – di ottenere una licenza di porto d’armi: armi che potranno detenere personalmente e che potranno sempre portare con sé. La norma permetterà a 300mila agenti tra poliziotti, carabinieri, guardie di finanza, polizia penitenziaria, personale militare delle forze armate, dei vigili del fuoco, guardie boschive, campestri, daziarie e al personale della polizia municipale di acquistare armi senza nemmeno l’obbligo di comunicazione alle autorità preposte.

E senza un altro obbligo che invece è previsto per tutte le licenze di porto d’armi: quello di comunicare alla consorte, alla convivente e ai familiari maggiorenni conviventi che si possiede un’arma comune. In altre parole, 300mila agenti potranno acquistare e detenere armi senza che le autorità competenti, i loro superiori e i loro familiari maggiorenni e nemmeno le mogli o le compagne (e i mariti e compagni) ne sappiano niente. Il disegno di legge non introduce nemmeno l’obbligo di esami clinico-tossicologici per verificare se la persona fa uso di droghe o sostanze psicotrope o abuso di alcol; non prevede specifici controlli medici sullo stato di salute mentale o per accertare criticità nella la situazione di coppia. Come noto, le donne, per timore di ripercussioni o di aggravare la situazione, tendono a non denunciare il marito che indossa una divisa anche nei casi in cui subiscono violenze. Ma anche di questo il DdL sicurezza sembra essere all’oscuro. L’importante, per il governo Meloni, è assecondare i sindacati di polizia della destra che da anni chiedono di poter girare armati con un’arma più comoda rispetto a quella d’ordinanza.