Alessandro De Pascale – Fonte: © Il Manifesto
1 Dicembre 2022
Già un mese dopo l’inizio delle proteste in Iran contro il regime degli ayatollah, cominciate il 13 settembre, le organizzazioni per i diritti umani diffusero le prime foto dei manifestanti colpiti con pallottole da caccia. Una di queste, rilanciata sui social da Mariano Giustino, inviato in Turchia di Radio Radicale, mostrava la schiena di una ragazza che manifestava a Saqqez (est Iran) colpita da «550 pallini di proiettili di un fucile da caccia».
È la cosiddetta «rosata di pallini di piombo, perché una singola cartuccia può arrivare a contenerne centinaia», ricorda al manifesto Carlo Tombola, coordinatore scientifico dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal). «Sono armi non letali, usate quando si spara sulla folla per evitare di provocare stragi come avviene con i proiettili da guerra», continua l’esperto. «Quando colpiscono una persona – sottolinea ancora Tombola – vanno ovviamente rimossi chirurgicamente». In altre parole, «bisogna rivolgersi al pronto soccorso, esponendo i manifestanti al sicuro arresto». Ecco perché i regimi autoritari le usano per reprimere le proteste di piazza. Come starebbe avvenendo ora in Iran, e mesi fa in Myanmar.
Il caso delle cartucce da caccia della franco-italiana Cheddite ha già provocato le prime prese di posizione. Martedì, Amnesty international Italia, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Rete italiana pace e disarmo, Associazione Italia-Birmania insieme e l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza, hanno scritto una lettera ai titolari dei ministeri italiani competenti: esteri (Antonio Tajani, Forza Italia), interno (Matteo Piantedosi, ex prefetto), difesa (Guido Crosetto, Fratelli d’Italia). Con la missiva mirano a ottenere «informazioni e chiarimenti sulla vendita di componenti e munizioni a marchio Cheddite srl utilizzate dalle forze di sicurezza iraniane nella repressione delle proteste». Nel testo, chiedono conto delle «eventuali autorizzazioni concesse» e dei possibili «accordi di licenza di esportazione» con la ditta turca Yavasçalar (Yaf), che «consentano l’esportazione di munizioni riportanti il marchio Cheddite in Iran» e in Myanmar.
Come rivelato a maggio 2021 da questo quotidiano, fino a qualche anno fa la ditta franco-italiana deteneva partecipazioni in quell’azienda anatolica che da circa vent’anni produce proiettili e munizioni per armi leggere. Categoria nella quale ricadono anche le cartucce da caccia calibro 12 fotografate ora in Iran, nei mesi precedenti in Myanmar, anni fa in Siria durante il conflitto. Sempre martedì una lettera dall’identico oggetto e dal contenuto simile è stata inviata dalle stesse organizzazioni anche all’amministratore delegato della Cheddite Italy srl, Andrea Andreani. Ci sono poi gli attivisti del movimento iraniano “Donna, vita, libertà”, che hanno lanciato un appello al premier italiano Giorgia Meloni, chiedendole, tra le altre cose, di «indagare per individuare i canali tramite cui sono state inviate le cartucce alla Repubblica islamica» e interrompere qualsiasi relazione l’Iran. Laura Boldrini, deputata del Partito democratico, sta preparando un’interrogazione parlamentare. Mentre la responsabile esteri del Pd, Lia Quartapelle, una risoluzione per far condannare al governo la repressione in atto, chiedere lo stop delle condanne a morte e sostenere nuove sanzioni per gli esponenti del regime coinvolti.
Teheran ci tiene molto ad evitare che su questo comparto “non letale” vengano attuate a livello internazionale misure più stringenti. Dal dicembre 2014 per le armi convenzionali non da guerra è in vigore un apposito Trattato (l’Arms trade treaty), periodicamente sottoposto a revisione da parte di un organismo ad hoc delle Nazioni Unite, con successiva rettifica da parte dell’Assemblea delle eventuali modifiche proposte. La Terza conferenza di revisione si è tenuta a New York nel giugno 2018. «Tra le modifiche proposte allora, alcune rendevano più stringente il controllo sulle armi leggere», ricorda Tombola dell’Opal. «La stragrande maggioranza delle obiezioni a quelle modifiche arrivò dal delegato della Repubblica islamica dell’Iran, che di fatto fece il gioco delle grandi potenze, Russia e Stati Uniti, anch’esse contrarie ai sostanziali cambiamenti proposti. Una vicenda abbastanza surreale».
Foto: Fonte © Il Manifesto