“La nave trasportava armamenti a un Paese in guerra: la legge lo vieta”
La Spezia, 12 gennaio 2022
Apprendiamo da fonti di stampa che la nave cargo saudita Bahri Yanbu, che lunedì ha fatto scalo al Terminal Container LSCT della Spezia, trasportava non solo materiali militari, ma con ogni probabilità anche esplosivi: «Sono più o meno dieci, carri armati senza i cingoli atti al movimento nel deserto. Sono mezzi da guerra: nonostante la fasciatura chirurgica si può scorgere la forma del cannone» – riporta una fonte del quotidiano “il Manifesto” allegando due foto e segnalando che «Sui ponti di coperta, come sempre, ci sono moltissimi contenitori con all’interno esplosivo. Lo usano poi per riempire gli involucri delle bombe. Imbarcati negli Stati Uniti».
I veicoli provengono dal Canada, spediti dalla General Dinamic Land Systems, specializzata in mezzi militari corazzati da combattimento e in carri armati. Sono destinati alla Royal Guard, la Guardia Reale della Monarchia assoluta islamica dell’Arabia Saudita. Si tratta di veicoli blindati su gomma APC (Armoured Personal Carrier, veicoli per trasporto truppe) modello LAV, fabbricati in Canada nello stabilimento di London, Ontario, dalla General Dynamics Land Systems. Un rapporto di Project Ploughshares e Amnesty International dello scorso agosto documenta che questo tipo di veicoli è stato impiegato nella guerra in Yemen. Conflitto che è iniziato nel marzo del 2015 con l’intervento militare a guida saudita e, secondo l’ufficio delle Nazioni Unite UNDP, ha portato ad oltre 377mila vittime, dirette e indirette, tra cui la metà bambini al di sotto dei cinque anni.
In porto alla Spezia, le operazioni di carico e scarico della nave cargo saudita Bahri Yanbu, arrivata lunedì mattina al Terminal Container LSCT (molo Garibaldi), hanno visto “un ingente dispiegamento di Forze dell’ordine” che avrebbero assistito alle operazioni di carico di una “quarantina di casse di materiali, nello scalo da alcuni giorni, di cui non è stato reso noto né il contenuto né il mittente”. Le stessi fonti aggiungono che “potrebbe essere stato imbarcato materiale arrivato in porto direttamente ieri (dunque non stoccato per motivi di sicurezza), eventualità che però non è possibile confermare” (Il Manifesto, 11 gennaio 2022).
Dal nostro monitoraggio risulta inoltre che la nave cargo sia rimasta al Terminal Container del porto almeno otto ore (dalle 7.30 alle 15.30), un periodo di tempo che non si giustifica col semplice trasbordo di un elicottero per i Vigili del fuoco e il carico di una quarantina di casse.
Il dispiegamento di Forze dell’ordine e il periodo di permanenza in porto sollevano nuovi interrogativi sia sul materiale imbarcato, sia soprattutto – come avevamo già segnalato in un precedente comunicato – per quanto concerne il transito di materiali militari nei porti italiani in riferimento ai divieti stabiliti dalla legge n. 185 del 1990 e riguardo alle norme sulla sicurezza.
Secondo quanto dichiarato dal Terminalista LSCT – e riportato in un comunicato emesso venerdì scorso dall’Autorità Portuale – “fra il materiale che sarà imbarcato, non sussiste alcuna merce classificata fra quelle oggetto della disciplina di legge. Si esclude, pertanto, qualsiasi presenza di materiale bellico”. Un’affermazione, quest’ultima, che contrasta con il dispiegamento di Forze dell’ordine in porto che può essere giustificato solo in considerazione del tipo di materiale da imbarcare o già stivato nel cargo.
Chiediamo pertanto all’Autorità Portuale se siano state aggiunte altre merci classificabili fra quelle oggetto della disciplina della legge n. 185 del 1990 e se a bordo della nave saudita fossero presenti armamenti o munizionamento proveniente da altri porti di precedente scalo della nave. E, in questo caso, se siano stati svolti tutti i controlli necessari sul carico della nave per verificare le condizioni di sicurezza per i lavoratori e la cittadinanza delle merci trasportate.
Reiteriamo alla Prefettura e alla Capitaneria di Porto-Guardia Costiera la richiesta in merito alla verifica delle disposizione di legge riguardo al transito di materiali militari diretti a Paesi sottoposti alle misure di divieto di esportazione da parte della nave Bahri Yanbu. Ricordiamo che la legge n. 185 del 1990 vieta non solo l’esportazione, ma anche il transito di materiali militari “verso i Paesi in stato di conflitto armato” e “verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione”. Come noto, l’Arabia Saudita nel marzo del 2015 è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale: un rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite consegnato al Consiglio di Sicurezza già nel gennaio del 2017 ha dichiarato che i bombardamenti della coalizione a guida saudita in Yemen “possono costituire crimini di guerra”.
Segnaliamo inoltre che il Parlamento Europeo con diverse Risoluzioni ha invitato almeno dieci volte il Vicepresidente e Alto rappresentante ad “avviare un processo finalizzato ad un embargo dell’UE sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita e qualsiasi membro della coalizione a guida saudita nello Yemen” e in una recente risoluzione ha rinnovato la richiesta di porre “un divieto a livello europeo per quanto concerne l’esportazione, la vendita, l’aggiornamento e la manutenzione di qualsiasi forma di equipaggiamento di sicurezza a destinazione dei membri della coalizione, compresi l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, in considerazione delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale in materia di diritti umani commesse nello Yemen”. (Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 febbraio 2021 sulla “Situazione umanitaria e politica nello Yemen”).
Ricordiamo che lo Stato italiano, nel gennaio dello scorso anno, a seguito della Risoluzione della Commissione Affari Esteri e Comunitari, ha deciso di revocare le licenze relative alle esportazioni verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti di “bombe d’aereo e missili e loro componentistica che possono essere utilizzate per colpire la popolazione civile in Yemen”. Una decisione storica, ottenuta grazie alla mobilitazione di numerosissime associazioni della società civile coordinate dalla Rete italiana pace e disarmo. Decisione che però non ha riguardato anche altre tipologie di armamenti, la cui esportazione, invece, è stata facilitata dall’attuale governo.
Chiediamo alle rappresentanze politiche locali di esprimere la propria opposizione al transito di navi che trasportano materiali militari nel porto della nostra città: non portano né lavoro né benessere, ma oltre a fornire armamenti Paesi in conflitto e a governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, con i materiali che trasportano rappresentano un pericolo per l’incolumità della cittadinanza.
Rinnoviamo l’invito alle rappresentanze sindacali dei lavoratori portuali a mantenere alta l’attenzione sul transito in porto di queste e di tutte le navi che trasportano armamenti, promuovendo insieme a noi il rigoroso rispetto della legge nazionale sul commercio di sistemi militari e delle norme per la sicurezza sul lavoro.
Il Comunicato è promosso dalle seguenti associazioni: Accademia Apuana della Pace, ACLI (La Spezia), ARCI (La Spezia), Archivi della Resistenza-Circolo Bassignani, Associazione Culturale Mediterraneo (La Spezia), Associazione Amici di Padre Damarco, Associazione di solidarietà al popolo Saharawi (La Spezia), Cittadinanzattiva, Comitato Acquabenecomune (La Spezia), Gruppo di Azione Nonviolenta (La Spezia), Legambiente (La Spezia), Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Brescia), Rifondazione Comunista (La Spezia), Weapon Watch (Genova).
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