Gianni Rosini – Fonte:
Il Fatto Quotidiano
Il direttore di Uama, Alberto Cutillo, ha inviato alle aziende esportatrici una nota in cui si segnala che dal 30 giugno 2021 “non è più richiesta la clausola dell’end-user certificate rafforzato per le esportazioni” verso i due Paesi. Questo vuol dire che le armi esportate potranno essere usate anche nel vicino conflitto. Ma non missili e bombe, la cui esportazione rimane revocata. Una mossa, quella del governo, che ha lo scopo di riallacciare i complicati rapporti diplomatici con Abu Dhabi.
Un allentamento delle restrizioni che una parte della stampa italiana ha interpretato come un tentativo di resuscitare vecchie o nuove autorizzazioni, tutt’oggi revocate o sospese, per l’esportazione di missili o bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Ma la decisione del governo italiano, attraverso la Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), di togliere la clausola end-user certificate rafforzata sulla vendita di armi verso i due Paesi del Golfo non creerà alcuno spiraglio per la ripresa dell’export di bombe che potrebbero essere di nuovo utilizzate nel conflitto in Yemen. Stessa cosa, però, non si può dire per tutti gli altri tipi di armamenti.
Ok all’uso di armi in Yemen, ma non le bombe
L’allarme è scattato nelle scorse ore, quando è circolata la notizia di una nota che il direttore di Uama, Alberto Cutillo, ha inviato alle aziende esportatrici in cui si segnala che dal 30 giugno 2021 “non è più richiesta la clausola dell’Euc rafforzato per le esportazioni verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti”. Se parte dei giornali italiani si affrettava a gridare al tentativo di far rientrare dalla finestra gli accordi commerciali sulle bombe prima sospesi durante il governo giallo-verde e, infine, revocati definitivamente negli ultimi giorni del governo giallo-rosso, con ulteriore sospensione per le nuove autorizzazioni relative a missili e bombe d’aereo, la verità è che questa clausola riguarda tutto il resto degli armamenti e sistemi esportabili nei due Paesi. (….)
“Chinare il capo di fronte a queste ritorsioni vuol dire cedere a un ricatto“, ha dichiarato Giorgio Beretta, analista dell’osservatorio Opal Brescia a Ilfattoquotidiano.it. Mentre Francesco Vignarca di Rete Italiana Pace e Disarmo chiede: “Si tratta di una mossa per riavvicinare un Paese che dopo un solo blocco all’export in 30 anni ha iniziato a ricattarci. Sono questi i famosi ‘partner strategici’ coi quali vogliamo intrattenere stretti rapporti commerciali?”.
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