Marina Pupella – Fonte: ©Strumenti politici
04 aprile 2021
Nella sua replica lo scorso 24 marzo sulle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi, affrontando i temi di politica estera, ha parlato delle ragioni che muovono il paese a stabilire rapporti di collaborazione con la Turchia. Il presidente del Consiglio ha sottolineato che «il nostro indirizzo è quello di incoraggiare i segni di apertura (di Ankara, ndr) nei confronti di Grecia e Cipro», esprimendo poi «grande apprezzamento alla Turchia per ciò che fa con i rifugiati siriani che hanno una dimensione enorme in quel paese», che ospita, non a titolo gratuito ma dietro compenso di 3 miliardi di euro dell’Ue, 3,6 milioni di profughi.
A parte qualche piccola stoccata relativa al sostegno militare della Turchia in Libia, anche attraverso il dispiegamento di combattenti stranieri sul terreno, definendo dannosa la mancanza di collaborazione all’operazione Irini, si riconosce l’importanza della sua cooperazione in territorio libico con le Nazioni Unite e gli altri attori regionali e internazionali sul nuovo processo politico, l’economia e la sicurezza. E proprio sulla presenza di mercenari stranieri nel paese alle porte dell’Italia è intervenuto a più riprese il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, chiedendone apertis verbis il ritiro, senza però citare i principali attori dell’invio di militari pagati per combattere: Ankara e Mosca. La prima intende conservare il suo ruolo di protagonista nello scacchiere internazionale e non a caso lo scorso 23 marzo il presidente Erdogan ha sentito il premier italiano Draghi, per “congratularsi del suo incarico” alla guida del nuovo governo, riferisce una nota della stessa Presidenza turca. Nel comunicato si parla del “rafforzamento della partnership strategica” fra i due paesi e di “un aumento dell’interscambio a 30 miliardi” dagli attuali 18 miliardi, puntando ad una crescita “in particolare nell’industria della difesa”.
Tema quest’ultimo da non trascurare, in particolare in chiave dell’export.«Nonostante le dichiarazioni del ministro di Maio dopo il Consiglio d’Europa del 14 ottobre 2019, per tutto il 2020 sono continuate le forniture di munizionamento da parte dell’Italia alla Turchia – riferisce Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia -. Si tratta soprattutto di forniture per artiglieria pesante, per oltre 100 milioni di euro, che erano state autorizzate negli anni precedenti e che non sono mai state bloccate. Circa la revisione delle licenze in atto annunciata dal ministro, finora non è stata data alcuna informazione ed è auspicabile che il Parlamento interroghi il ministero degli Esteri riguardo all’esito di questa revisione Certamente infine è da annotare che una risoluzione approvata ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo lo scorso settembre ha chiesto di introdurre un’iniziativa in seno al Consiglio affinché tutti gli Stati membri dell’UE sospendano la concessione di licenze di esportazione di armi alla Turchia».