Monia Donati – Fonte: © I 404
Si parla sempre di made in Italy come vanto nazionale, simbolo del bello italico che esportiamo nel mondo.
Ma il “fatto in Italia” può non essere solo alta moda, artigianato sapiente e food di eccellenza.
Può invece essere un prodotto che ci crea vergogna e imbarazzo, ma anche indotto e lavoro e apre domande etico-politico-economiche.
Parliamo di bombe e di armi. Di quelle realizzate nel Belpaese, acquistate dall’Arabia Saudita e che partono per uccidere, non difendere, in Yemen.
Dove dal 2015 una guerra civile sta facendo decine di migliaia di vittime, tra cui tantissimi bambini.
Il Governo non si sente in colpa e indica che la scelta non ricade sugli occupati con regolare contratto (meno di 180 su 416), perché la maggioranza delle commesse sono destinate all’Italia e ai paesi Ue.
Intanto però le forniture belliche di altro tipo e le armi leggere non sono state toccate.
Nel 2018 il governo Conte autorizzò l’azienda bresciana Beretta alla vendita di armi leggere. Non accadeva dal 1990. “Dai dati resi pubblici dal Tesoro sappiamo poi che l’azienda Beretta ha ottenuto un pagamento dal governo saudita per materiale esportato per oltre 2,8 milioni di euro” spiega Giorgio Beretta di Opal, osservatorio permanente sulle armi leggere.
E più di recente l’Aeronautica militare italiana ha incontrato il capo delle forze aree dell’Arabia saudita con classica foto con stretta di mano annessa da pubblicare sui social.
Sul tema c’è attenzione.
Amnesty International invita all’aiuto, ricordando che ora ci si deve accertare che le indicazioni politiche vengano rispettate… leggi tutto l’articolo