Paolo Salvatore Orrù – Fonte: © Notizie Tiscali
13 settembre 2018
L’affermazione di Giorgio Beretta fa infuriare gli associati alla Firearms United per il Comitato Direttiva 477. Dal 14 settembre in vigore il provvedimento che recepisce la direttiva europea. Ecco c’è da sapere
Armisti e disarmisti l’uno contro l’altro armati. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 104 del 10 agosto è il nuovo campo di battaglia. Per i disarmisti la nuova legge rende meno restrittiva la normativa sul possesso di armi legalmente detenute. Per la loro controparte è vero il contrario. L’Italia è stata la seconda nazione europea – la prima è stata sul filo di lana la Francia (agosto 2018) – a recepire la direttiva europea 853/2017 (che modifica la precedente direttiva Ue 477/1991) e ad “attuarla nel senso più esteso possibile”, ha scritto Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo….
La retroattività della legge
Tutto questo ha fatto dire ai disarmisti che il governo è stato troppo permissivo. E questo sarebbe dimostrato, per Simoncelli, dalla retroattività della legge al 13 giugno 2017. Due filosofie a confronto, e qui non esistono convergenze parallele. Eppure almeno in uno dei problemi in campo, la sicurezza, si sarebbe potuta trovare una buona sintesi che, almeno sulla carta, sarebbe stata possibile se le parti non avessero preferito continuare a viaggiare in compartimenti diversi. Perché ‘guelfi e ghibellini’ avrebbero avuto tutto l’interesse di chiedere al governo un vero studio sociologico e statistico sull’uso criminale delle armi nel nostro Paese. Invece, anche questa volta, sono prevalsi gli interessi elettorali di parte e i silenzi.
Non resta che capire le ‘ragioni’ dei disarmisti: secondo Giorgio Beretta, sociologo, membro della Rete italiana per il disarmo (Rid) e ricercatore dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia “la nuova legge allarga troppo la platea dei detentori di armi”. E questo a detrimento della sicurezza.
Non c’è uno studio “neutro”
Siccome, lo abbiamo scritto, in Italia non c’è uno studio “neutro” sul problema, il sociologo sostiene, citando un rapporto Censis:
“Se immaginassimo di avere le stesse regole e la stessa facilità degli statunitensi di entrare in possesso di un’arma, in Italia (…) le vittime da arma da fuoco potrebbero salire fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più”. In sostanza, negli Stati dove maggiore è la facilità di acquistare armi, spiega, “si riscontra una crescita di morti e di feriti, a conferma che la deregolamentazione del commercio e la espansione in mani private raffigurano non solo una sicurezza inferiore, ma anche un’occasione in più per i terroristi e criminali di poter acquistare armi”.
L’equazione è servita: più armi ci sono in giro, più facile è uccidere.
E questo – spiega ancora Beretta – “è dimostrato anche dai dati del Rapporto per l’UE di FIRE-Transcrime con la collaborazione dell’Università Cattolica di Milano che riporta, sulla base di fonti pubbliche, che nel periodo 2010-15 vi sono stati nei Paesi UE ben 1.618 vittime di “deadly shooting” (“sparatorie mortali”) di cui il 34% in “ambito famigliare”, il 32% in “ambito interpersonale”, il 21% fatti da “gruppi criminali organizzati”- OCG), il 10% come “atti criminali” e il 3% di matrice “socio-politica”. Questo dimostra che in Europa e anche in Italia, la maggior parte degli omicidi (il 66%) con armi da fuoco avviene in ambito famigliare-interpersonale, e – lo studio non lo riporta ma si può facilmente evincere – sono omicidi in buona parte compiuti con armi legalmente detenute”. Il sociologo ha anche voluto segnalare un altro importante dato: “Nel 2017 in Italia, i morti per armi da fuoco regolarmente detenute sono stati più di 40 esclusi quelli degli “incidenti” di caccia ecc.): un numero che si avvicina in modo preoccupate a quelli per omicidi compiuti dalla criminalità organizzata”. Commenta ancora Beretta, “è superfluo affermare che in Italia si rilasciano licenze troppo facilmente, con una autocertificazione controfirmata dal medico curante dell’Asl che, se lo ritiene opportuno (quasi mai) ordina nuovi esami”. I numeri di Beretta, sostiene l’altra parte, “lasciano il tempo che trovano: dopo aver analizzato i dati forniti da Beretta a una Ong antitarmi – ha detto a tiscali.it Andrea Favaro, il delegato Firearms United per il Comitato Direttiva 477 – abbiamo scoperto che nella maggiore delle ipotesi restano, sui 40 denunciati da Opal, 22 casi confermati di utilizzo di armi legalmente detenute per commettere un delitto”.
Il responso della C. Costituzionale
C’è chi accusa l’Opal si essere una organizzazione di sinistra e quindi di parte. “Noi siamo indipendenti – rivendica Beretta – siamo stati in prima linea contro tutti i governi che hanno pensato di allargare le maglie della vendita delle armi, partendo dal primo governo Prodi, passando per Berlusconi e Renzi sino all’attuale … del resto la Corte Costituzionale ha più volte sostenuto che il possesso di armi deve essere considerato ‘una eccezionalità subordinata a esigenze di pubblica sicurezza’”. E che queste regole devono valere anche per chi pratica sport armati.
“Prima di tutto la sicurezza”
ha concluso Beretta. Sentite le parti in causa e le ragioni, si può trarre una conclusione: forse armisti e disarmisti dovrebbero parlarsi, perché solo discutendo (anche animatamene) si possono trovare soluzioni flessibili. Il Paese ne ha bisogno….leggi tutto l’articolo