Ancora una volta, con lo stesso metodo di sempre – un decreto “omnibus” su una materia diversa – e contando sulla disattenzione degli italiani pronti a partire in vacanza, nel Parlamento si è tentato di far passare una modifica decisiva sulla definizione di legge di “arma da fuoco”.
Ci ha provato il sen. Federico Bricolo, capogruppo della Lega Nord al Senato, presentando un emendamento che intendeva modificare la legge 110/1975 e in particolare abolire il Catalogo nazionale delle armi da fuoco. Hanno prontamente sostenuto il tentativo il sen. leghista Mazzatorta, nonché sindaco di Chiari (Brescia), e il sen. Franco Orsi, PDL, autore di un noto e molto controverso progetto di revisione della legge sulla caccia, il sen. Sergio Divina, trentino, anch’egli leghista.
Si tratta di fedeli scudieri della lobby armiera, che peraltro il 1 luglio scorso, in un comunicato del presidente dell’ANPAM (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni), aveva dettato la linea: “In relazione al Catalogo nazionale, pensiamo che l’attenzione dedicata ai requisiti di catalogazione dovrebbe essere spostata verso l’aderenza al criterio unico di accesso alle armi comuni da parte dei cittadini europei, sul modello descritto dall’Allegato I della Direttiva 91/477/CEE e ss.mm.ii., riservando a forze e corpi armati dello Stato solo la categoria A (Armi da fuoco proibite), e considerando tutte le altre come armi consentite”.
Ancora una volta l’aderenza alla normativa europea è il grimaldello con cui si tenta di intervenire sulle leggi nazionali che regolano la produzione e il commercio delle armi leggere. Se per ora il tentativo è stato sventato, quello che allarma è soprattutto la strategia di evitare una discussione parlamentare di complessivo riordino della materia, strategia che – ha annunciato il sen. Bricolo ritirando l’emendamento – sarà di nuovo messa in atto alla prima occasione.
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