OPAL chiede l’embargo militare di Israele

lle esportazioni militari nei confronti dello stato di Israele promossa da un ampio movimento della società civile palestinese. Il testo del comunicato ENAAT, in italiano – scaricabile qui – è diretto, nello specifico, al Parlamento europeo e ai Paesi europei.

Sulla decisione di sottoscrivere l’appello, Carlo Tombola, coordinatore scientifico di OPAL, sottolinea che “si tratta di una decisione importante per molti motivi. Sul piano del metodo, perché si tratta di una forma non violenta per combattere l’occupazione illegale israeliana, secondo prassi di lotta che si stanno sempre più diffondendo tra i militanti pacifisti sia in Palestina che in Israele. Sul piano del contenuto, perché l’Italia sta diventando un partner “forte” di Israele nel commercio delle armi, 3,4 milioni di euro di armi militari italiane vendute negli ultimi 3 anni, a cui vanno aggiunti oltre 11,2 milioni di euro di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè, 9,2 milioni di euro) dal “distretto armiero” di Brescia e Val Trompia.”

Una “sospensione immediata e totale della vendita di armi italiane ad Israele” era già stata richiesta dalla RID Rete Italiana Disarmo (che raccoglie oltre 30 organismi italiani impe

gnati sul tema del controllo degli armamenti) nel giugno 2010, dopo l’assalto alle navi pacifiste dirette a Gaza. (Si veda: Rete Disarmo).

Nel corso degli ultimi tre anni le vendite autorizzate di armamento verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte in queste operazioni di vendita troviamo Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa. “Il commercio di armi italiane nel mondo – spiega Francesco Vignarca,coordinatore di Rete Disarmo – sta assumendo dimensioni sempre maggiori non per nulla negli ultimi due anni ha superato i 7,8 miliardi di euro per autorizzazioni all’esportazione: autorizzazioni che, nel 2010, sono state dirette principalmente (oltre il 49%) in una delle zone di maggiore tensione del pianeta, il Nord Africa e il Medio Oriente. Per questo l’embargo di armamenti può d

avvero diventare uno strumento per intervenire nelle situazioni di crisi e modificarle al meglio. Continuare ad inviare armi e sistemi d’arma nelle aree più calde del globo non è sicuramente il metodo migliore per contribuire alla pace, condizione che invece il nostro paese dovrebbe perseguire per convinzione e per scelta Costituzionale”.

“Non va dimenticato – ha spiegato Giorgio Beretta, caporedattore di Unimondo e collaboratore di OPAL – che l’Italia importa armi da Israele e molte forniture negli ultimi due anni superano il valore complessivo di 50,7 milioni di euro, la qual cosa ne fa il quarto fornitore del nostro ministero della Difesa”. “La Simmel, ad esempio, importa componenti per bombe e la Beretta componenti per armi automatiche, come particolari modelli di pistole e di mitragliatori”.

C’è infine un altro punto importante. “Si tratta dell’Accordo bilaterale di cooperazione militare che il Parlamento ha ratificato nel maggio 2005, durante la precedente legislatura guidata dal Governo Berlusconi” – sottolinea Beretta. “Come gli altri, anche quello con lo Stato di Israele definisce in termini generici la cornice della cooperazione militare nei seguenti aspetti: misure per favorire gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie per la produzione di armamenti, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte e “peacekeeping”. Il risultato finale è ovviamente quello di facilitare la collaborazione dell’industria per la difesa italiana con quella israeliana rendendo però più difficile il controllo degli armamenti e favorendone la proliferazione. Per questo è urgente che, oltre alle effettive esportazioni di armamenti, venga sospeso anche questo accordo e ogni tipo di cooperazione militare”.

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