La terza nave saudita carica di armi si avvicina ai porti italiani, probabilmente diretta a Genova. Ieri il cargo Bahri Jazan, dopo essere entrato nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra, ha rallentato a largo delle coste spagnole ed è atteso attorno a giovedì 20 giugno nel porto ligure, dove i camalli si stanno già preparando a dargli la stessa accoglienza adottata per la Bahri Yambu – un’altra delle 6 navi gemelle che da anni fanno la spola tra l’America del Nord e Jeddah – attraccata a fine maggio, cioè boicottando l’imbarco degli armamenti destinati alla guerra in Yemen.
Dopo che la Bahri Tabuk è riuscita, all’inizi di giugno, a caricare forse anche le bombe costruite dalla Rwm di Domusnovas nel porto di Cagliari, a Genova la prefettura ha convocato sindacati dei portuali e logistica per riferire che l’azienda esportatrice Teknel assicurava, per riprendere il materiale bloccato da un mese, che non si tratta di sistemi bellici ma solo di una fornitura per la Guardia nazionale saudita.
Per vederci chiaro il Collettivo autonomo lavoratori portuali di Genova ha convocato sabato scorso una assemblea invitando esperti della coalizione di associazioni (Rete per il Disarmo, Rete per la Pace, Amnesty e Opal di Brescia) che si battono per evitare complicità italiane nei crimini di guerra riconosciuti dall’Onu ad opera dei sauditi in Yemen.
«Ho spiegato ai lavoratori – racconta il ricercatore Carlo Tombola – che abbiamo le prove che quel materiale serva per scopi bellici, si tratta di 4 schelter , che sono contenitori mobili di attrezzature tecnologiche utilizzati per droni e centri di comunicazione per l’artiglieria, e di 4 generatori, parte di un lotto di 18 coppie di cui l’azienda ha chiesto l’autorizzazione all’export in base alla legge 185. Inoltre la Guardia saudita fa parte dell’esercito e partecipa alla guerra in Yemen ».